In Italia l’occupazione è un miraggio e si creano meno posti di lavoro rispetto ai partner europei. Come se non bastasse, aumentano le disuguaglianze retributive tra operai, impiegati e dirigenti.
È la fotografia scattata dal secondo Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale da cui emerge inoltre che se il pubblico impiego invecchia, per i giovani lo sbocco di lavoro più immediato è quello di camerieri o commessi.
Ma veniamo ai numeri. Negli ultimi dieci anni (2007-2017) il numero di occupati in Italia è diminuito dello 0,3%, è invece aumentato in Germania (+8,2%), Regno Unito (+7,6%), Francia (+4,1%) e nella media dell’Unione europea (+2,5%).
Nel Sud il tasso di occupazione è pari al 34,3% (2,9 punti percentuali in meno di differenza rispetto al 2007), al Centro è al 47,4% (lo 0,4% in meno), nel Nord-Ovest al 49,7% (l’1,1% in meno), nel Nord-Est al 51,1% (l’1,3% in meno). Non solo creiamo meno lavoro degli altri Paesi, ma ne distruggiamo di più proprio dove ce n’è di meno, ovvero nel Mezzogiorno.
Ma non finisce qui. Paradosso del mercato occupazionale è che, se da una parte non si crea lavoro, dall’altra chi ha un’occupazione lavora sempre di più. Il 50,6% dei lavoratori afferma che negli ultimi anni “si lavora di più, con orari più lunghi e con maggiore intensità”.
Sono 2,1 milioni i lavoratori dipendenti che svolgono turni di notte, 4 milioni lavorano di domenica e festivi, 4,1 lavorano da casa oltre l’orario di lavoro con e-mail e altri strumenti digitali, 4,8 milioni lavorano oltre l’orario senza straordinari.
E con effetti “patologici rilevanti”: 5,3 milioni provano sintomi di stress da lavoro, 4,5 milioni non hanno tempo da dedicare a se stessi 2,4 milioni vivono contrasti in famiglia perché lavorano troppo.