Calo demografico e innalzamento dell’età media degli italiani stanno condizionando le prospettive per l’economia del Paese. Le stime delle principali organizzazioni internazionali vedono per l’Italia una crescita economica asfittica nei prossimi anni, con potenziali ripercussioni negative sul welfare e le pensioni. A questo poi si aggiunge il fardello del debito pubblico che ormai veleggia al 130% del Pil, senza vedere all’orizzonte un serio percorso di riduzione.
Per capire come trovare una via di uscita ne abbiamo parlato con Enrico Giovannini, docente di Statistica economica all’università di Roma Tor Vergata e portavoce dell’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), già presidente dell’Istat e ministro del Lavoro nel governo Letta.
Prof. Giovannini, il problema demografico è all’ordine del giorno. Come vede l’Italia del futuro?
“Non si è mai visto un Paese, nel quale la popolazione diminuisce, che riesca a mettere a segno una crescita del Pil consistente. In presenza di un calo dei residenti l’economia rallenta anche perché la popolazione più adulta ha abitudini di consumo inferiori rispetto a quella più giovane ed è meno propensa agli investimenti per l’innovazione. Inoltre le persone più anziane si orientano verso prodotti a minore valore aggiunto mentre quelle più giovani sono innovative e più votate ai consumi.
Data per assodata questa tendenza, bisogna chiedersi quale sia il numero ottimale di abitanti per l’Italia. Definito questo valore bisogna impostare delle politiche sociali e del lavoro adeguate per raggiungere il target prefissato attraverso l’introduzione di stimoli per la natalità, l’immigrazione di lavoratori qualificati, anche e soprattutto da altri Paesi sviluppati e ed evitare la fuga dei giovani laureati all’estero.
A parità di condizioni un dottore di ricerca che va all’estero guadagna mille euro in più al mese, il che sottolinea una scarsa capacità del nostro sistema produttivo ad utilizzare questo capitale che è stato formato dal sistema italiano. Eppure sono proprio questi talenti che rappresentano il nostro futuro”.
Lei è stato anche ministro del Lavoro. Come mai gli stipendi in Italia sono tra i più bassi in Europa?
“Il tema dei salari è legato soprattutto alle dimensioni delle aziende italiane. Il sistema imprenditoriale italiano è rappresentato in gran parte da piccole e medie aziende che hanno una bassa produttività e quindi bassi livelli retributivi.
Si tratta di un problema strutturale e per risolverlo serve una politica industriale e del lavoro integrata. Oltretutto in Italia per le progressioni di carriera si tende spesso a valorizzare più l’anzianità che la qualità e in alcuni casi può rappresentare un freno per l’innovazione. Il livello degli stipendi influisce inevitabilmente poi sulla spesa per consumi”.
Cosa deve fare l’Italia per far ripartire la crescita economica?
“Per favorire un rilancio della congiuntura è necessario puntare sul cosiddetto capitale umano. È opportuno favorire la formazione continua dei lavoratori per fare in modo di mantenere sempre aggiornate le loro competenze. Purtroppo il mondo politico italiano non ha mai fatto una discussione seria su questi aspetti ma ritengo che anche le imprese debbano fare la loro parte.
Per attirare personale qualificato è necessario aumentare gli stipendi altrimenti si favorisce proprio la cosiddetta fuga di cervelli verso quei Paesi che sono in grado di fornire retribuzioni adeguate al livello di formazione raggiunto. In questo modo non solo facciamo fuggire i nostri giovani ma non siamo attraenti verso i lavoratori di altri Paesi.
Governo e imprese devono muoversi in maniera coordinata per favorire questi obiettivi altrimenti non è possibile pensare di ottenere i risultati sperati.
Non si tratta però di una novità. Da sempre il nostro Paese sembra incapace di programmare il suo futuro. Sapevamo da anni che, per esempio, nel settore della salute ci sarebbero mancate migliaia di figure adeguate come medici e infermieri. Sappiamo da anni che il boom della tecnologia e dei big data avrebbe richiesto figure specializzate per trattarli, ma nessuno è stato in grado di gestire questa situazione. E così siamo difronte a questa mancanza di personale medico e informatico specializzato.
Sul fronte dell’immigrazione mancano canali di immigrazione legale. L’Italia non ha mai fatto una politica seria per favorire l’inserimento di persone qualificate e tendiamo a trincerarci dietro affermazioni di carattere generale. Non mi riferisco solo a persone che vengono dai Paesi in via di sviluppo ma anche lavoratori molto specializzati in arrivo dalle altre nazioni più industrializzate.”
Per ulteriori approfondimenti si rinvia al Dossier “Vivere sicuri” pubblicato sul magazine Wall Street Italia di gennaio 2020.