Se si andasse al voto anticipato a giugno, vista anche la spaccatura apertasi in seno al Partito Democratico, le probabilità di vittoria del MoVimento 5 Stelle sarebbero alte. La formazione fondata da Beppe Grillo non ha escluso la possibilità di un’alleanza con il partito anti europeista della Lega Nord.
Se dovessero effettivamente formare una coalizione di governo post voto, una delle prime misure che proporrebbero sarebbe una riforma della costituzione per poter indire un referendum sull’euro. A quel punto, non riuscendo a ottenere i due terzi di maggioranza in parlamento, la coalizione di governo dovrebbe ricorrere a un voto popolare per chiedere la riforma della Costituzione.
Gli italiani sono così frustrati dai partiti politici cosiddetti mainstream dopo una ventina di anni di tassi di crescita da prefisso telefonico e dagli ultimi 17 anni in cui l’economia italiana ha subito le conseguenze di un calo del potere d’acquisto post adozione dell’euro, che potrebbero votare a favore sia dell’uno che dell’altro referendum. L’euro forte ha portato qualche vantaggio ad alcuni settori aziendali, ma rende l’Italia meno competitiva rispetto a paesi come la Germania.
Lo stesso Matteo Renzi, facendo in qualche modo eco a Peter Navarro, consulente economico dell’amministrazione Trump, ha criticato Berlino perché non rispetta le regole europee sull’avanzo commerciale. “La soglia giusta è il 6%”, titola un post pubblicato sul suo blog in cui si dice che oggi è invece al 9%, sintomo di un innalzamento delle tensioni tra i poteri forti dell’Eurozona.
“Si tratta di una violazione delle regole che fa male a tutta l’Europa. E che la indebolisce a favore dei soli amici tedeschi. Più volte abbiamo posto il tema in modo ufficiale, nei tavoli di discussione: vogliamo rispettare le regole. Ma dobbiamo farlo tutti. Anche la Germania. La filosofia dei due pesi e due misure è sbagliata”.
Buone chance che l’Italia dica addio all’euro
Già nelle ultime occasioni in cui si sono recati alle urne, non ultimo il referendum costituzionale che è costato a Renzi il posto di primo ministro, hanno disertato in massa le formazioni politiche tradizionali per affidarsi ai partiti anti establishment come M5S e Lega.
I sondaggi danno un testa a testa tra M5S e PD in caso di elezioni nel 2017. Se il M5S la spunta c’è la possibilità che formi una coalizione di governo con la Lega Nord e a quel punto, secondo Nick Giambruno, editorialista del sito di Casey Research International Man, “ci sono possibilità elevate che l’Italia possa abbandonare l’euro“.
“Bisogna tenere bene a mente che l’Italia è uno dei paesi principali dell’euro. Se se ne va, anche la Francia potrebbe fare lo stesso. A quel punto l’euro è finito“. Senza la moneta unica non rimarrebbe quasi nulla a tenere insieme l’Unione Europea.
L’euro è il collante principale dell’alleanza europea. Senza della moneta unica, l’intera Ue potrebbe disgregarsi. “Siamo ancora nelle fasi preliminari di questo processo, ma per gli eurocrati e i fautori della globalizzazione si mette male. Penso che quando gli storici faranno un’analisi a ritroso, indicheranno il referendum del 4 dicembre in Italia come il punto di rottura cruciale“.
Gli scenari in caso di deglobalizzazione e salita al potere di movimenti protezionisti come è accaduto in Usa con Donald Trump sono due: uno negativo vede una crescita dei nazionalismi. Quello positivo vede invece una “decentralizzazione dei poteri“, che invece secondo Giambruno sarebbe “positiva per le libertà individuali ed economiche”.
Sofferenze bancarie nate da stagnazione ventennale
Se l’Italia ritorna alla lira non si sa bene cosa accadrebbe al suo sistema bancario, “un castello di carta che rischia sempre più di crollare”. Le banche hanno accumulato crediti deteriorati da centinaia di miliardi di dollari a causa delle difficoltà economiche di imprese e famiglie negli ultimi 17-20 anni.
La montagna di sofferenze iscritte a bilancio, osserva Giambruno con una metafora, è come “un buco nero mai sazio che sta inghiottendo il capitale del settore bancario”.
“Il ritorno alla lira non porterà immediatamente a un periodo di forte economia. Significa soltanto che il governo, una volta pagate le conseguenze dell’iperinflazione e della perdita di fiducia degli investitori internazionali, “sarà in grado di ricapitalizzare le banche che ne hanno bisogno, stampando denaro. Con l’euro non lo può fare”.