ROMA (WSI) – Complice la crisi economica il lavoro in nero tocca livelli record. Sempre più aziende infatti offrono posizioni di lavoro irregolare e, per mancanza di alternative, gli italiani ci si buttano a capofitto.
Secondo uno studio realizzato dal Censis per Confcooperative, dal titolo ‘Negato, irregolare, sommerso: il lato oscuro del lavoro’, tra il 2012 e il 2015 “mentre nell’economia regolare venivano cancellati 462 mila posti di lavoro (260 mila riconducibili a quello svolto alle dipendenze e 202 mila nell’ambito di quello indipendente), la schiera di chi era occupato illegalmente cresceva di 200 mila unità, arrivando a superare quota 3,3milioni”.
Rivolgendosi al lavoro irregolare le aziende riducono il costo del lavoro del 50% ed oltre mettendo spesso fuori mercato le aziende che operano nella legalità. A conti fatti, secondo i dati forniti dal Ministero dell’economia, un salario medio orario di un lavoratore assunto regolarmente costa all’azienda circa 16 euro, contro gli 8,1 euro pagato per chi lavora in nero. Circa la metà quindi.
Il divario maggiore tra retribuzione lorda oraria regolare e retribuzione percepita da un irregolare si registra nel settore industriale – 17,7 euro contro gli 8,2 euro dei lavoratori in nero, circa il 53,7% in meno – seguito dai servizi alla imprese (-50,3%, 9,5 euro anziché 19,1), e via via dai servizi in generale (46,8%), costruzioni (41,4%) e infine agricoltura, dove la retribuzione oraria è più bassa, la differenza non supera il 36% (35,7%).
I lavori in nero più richiesti? Ai primi posti troviamo il personale domestico, seguito da agricoltori, lavoratori nel settore alloggi e ristorazione e infine attività artistiche. Le regioni dove è presente maggiormente il lavoro irregolare? Calabria e Campania con il 9,9% e 8,8%, seguite da Sicilia (8,1%), Puglia (7,6%), Sardegna e Molise (entrambe con il 7,0%).