ROMA (WSI) – Avete presente il bilancio dello Stato italiano? No? Più che giustificato: è complicato e tenuto oscuro dallo Stato stesso, che nulla fa per renderlo trasparente ai cittadini. Il guaio che si aggiunge al guaio è che anche gran parte dei candidati che si proporranno alle elezioni del 24 e 25 febbraio non ne sanno molto.
E piuttosto confusi — comunque decisi a mantenerlo nel regno del misterioso — appaiono i partiti quando ne parlano. Quando cioè avanzano programmi e proposte che riguardano la voce entrate (le tasse) e la voce uscite (la spesa pubblica): il cuore del governare, l’essenza della sovranità, quello per cui chiedono voti.
Rendere leggibile il bilancio pubblico e magari metterlo a confronto con quello di altri Paesi è dunque un primo passo per stabilire di cosa si parla e per togliere i veli dietro ai quali, il giorno dopo essere eletti, governanti e legislatori smettono di rispondere ai cittadini. Per esempio, ci è chiaro cosa significa il nostro debito pubblico?
Significa che nel 2010 ogni italiano ha pagato 1.143 euro di interessi su di esso: tanto quanto per l’Istruzione. Vuole cioè dire che debito è uguale a tasse immediate (gli interessi) e differite (qualcuno lo dovrà ripagare, cioè i cittadini di domani). Ed è sottrazione di risorse a investimenti e servizi.
In aggregato, nel 2010 l’Italia ha speso per interessi sul debito il 4,4% della ricchezza prodotta (Pil): la Germania solo il 2,6%, la Gran Bretagna il 2,9%. Vista l’opacità dei numeri dello Stato, Civicum – un’associazione non politica che si batte per migliorare la trasparenza dell’Amministrazione pubblica – e il Politecnico di Milano hanno lavorato per disboscare e rendere leggibili i conti dello Stato.
E per confrontarli con quelli di Germania, Spagna, Francia e Gran Bretagna. E per questa ragione il Corriere della Sera propone una parte del loro studio: all’interno di una serie di iniziative (La prova dei fatti) che sta prendendo – e prenderà sempre più intensamente con l’avvicinarsi delle elezioni – per stabilire non solo la credibilità dei programmi dei partiti ma anche per misurarne il loro effetto su economia reale e conti dello Stato.
I numeri su cui hanno lavorato Civicum e Politecnico, in parte riportati nelle tabelle, sono riferiti all’anno 2010: da allora alcune voci hanno subito variazioni; ciò nonostante, la distribuzione della spesa tra i servizi prodotti dallo Stato e tra le funzioni da esso svolte non ha subito cambiamenti significativi. «Immaginiamo una famiglia di quattro persone che guadagna centomila euro lordi l’anno, cioè 8.300 euro al mese — calcola il presidente di Civicum, Federico Sassoli de Bianchi — All’Amministrazione pubblica ne versa circa 44 mila, ai quali ne vanno aggiunti quattromila di nuovo debito pubblico (la differenza tra uscite e entrate) che prima o poi dovrà pagare. Alla famiglia restano 52 mila euro all’anno, 4.300 al mese. Gli italiani percepiscono correttamente che a fronte di 4.300 euro netti al mese ne hanno dati quattromila allo Stato? L’Imu è stata percepita perché la si è dovuta calcolare e pagare. Ma le imposte indirette, i contributi, le imposte dirette dei dipendenti e spesso quelle versate come sostituti d’imposta non si vedono». È opportuno metterle in chiaro.
Perché, sostiene Sassoli, «siamo tutti azionisti dello Stato, ma lo Stato è l’unica società che non dà rendiconti interpretabili: il nostro obiettivo è promuovere la trasparenza in un Paese che tende all’opacità».
Dalla tabella si vede che nel 2010 lo Stato ha prelevato da ogni cittadino 11.860 euro tra tasse e contributi sociali. E per ogni cittadino ne ha spesi 12.965, oltre che per servire il debito per servizi pubblici, Difesa, Ordine pubblico, Sanità, Istruzione e via dicendo, soprattutto Welfare. (La differenza, 1.105 euro, è in sostanza stata nuovo debito).
I confronti con i bilanci degli altri Stati possono stimolare molte riflessioni. Il rettore del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone, ne sottolinea due. «Innanzitutto, l’importanza della crescita economica. Come si vede dalla tabella, la Germania ha una spesa pubblica procapite di quasi 14.500 euro, contro i meno di 13 mila dell’Italia. Ma avendo un Pil procapite di cinquemila euro più alto del nostro, la percentuale di spesa pubblica rispetto al Pil è più bassa, 47,5% contro il nostro 50,4%».
Anche per questo è decisivo fare ripartire la crescita. La seconda riflessione di Azzone riguarda la composizione della spesa dello Stato. «Sotto la voce Protezione sociale — dice — l’Italia è il Paese che spende di più per malattia, disabilità, anzianità, in sostanza per pensioni, il 18,3% del Pil: addirittura più della Francia (17,7%) e molto più di Gran Bretagna (11,5), Germania (14,8), Spagna (12,3).
Dall’altra parte, spende molto meno in aiuti ai disoccupati e in sostegno alle famiglia, in contrasto con le dichiarazioni che i politici fanno in campagna elettorale. C’è qualche riequilibrio da fare, qui: anzi, direi che serve un ripensamento del Welfare. E qualcosa da fare ci sarebbe anche per l’Istruzione universitaria, dove l’Italia spende (lo 0,4% del Pil) meno della metà degli altri Paesi».
Mettere in termini chiari il bilancio pubblico – cioè mostrare in modo trasparente come vengono utilizzati i nostri denari – dovrebbe essere compito dello Stato. In effetti, sia Sassoli sia Azzone si augurano che in un futuro non lontano lo faccia attraverso un istituto, un’agenzia, un centro studi, come avviene in altri Paesi.
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