ROMA (WSI) – Il tasso di disoccupazione in Italia è salito al 12,2%. E’ quanto riporta l’Istat, che mette in evidenza come il dato sia aumentato +0,1% su base mensile e +1,5% su base annua. Si tratta del record dall’inizio sia delle serie mensili, gennaio 2004, sia delle trimestrali, primo trimestre 1977.
Schizza al 40,1% la disoccupazione dei giovani ad agosto, in aumento +0,4% su base mensile e +5,5% su base annua; anche in questo caso, è il valore massimo dal 1977.
Quasi contestualmente, viene diffuso il Rapporto del Cnel sul mercato del lavoro, da cui risulta che tra il 2008 e il 2012 i disoccupati ufficiali sono aumentati di oltre un milione di unità ma “l’area della difficoltà occupazionale” registra un aumento di circa 2 milioni di persone. Si tratta di un fenomeno con “conseguenze sociali allarmanti”. L’aumento è concentrato nel Sud.
Una economia, quella italiana, prostrata dalla recessione. E’ il quadro presentato dal Cnel, che afferma senza mezzi termini che il 2013 è “l’anno peggiore della storia dell’economia italiana, dal secondo dopoguerra”.
C’è però una lieve speranza: “Ma crediamo anche che (il 2013) possa intercettare il punto di svolta del ciclo economico”. La crisi, iniziata nel 2007, “ha eroso le capacità di resistenza delle famiglie e delle imprese, generando condizioni di diffuso disagio sociale, una caduta profonda delle aspettative, un cambiamento radicale nelle abitudini dei consumatori”.
“Negli ultimi anni abbiamo perso 750mila posti di lavoro – rileva il Cnel – una caduta che avrebbe potuto essere più profonda se la produttività del lavoro non fosse rallentata, se le ore lavorate per occupato non si fossero ridotte, se il ricorso alla Cig non fosse aumentato per tutelare i redditi dei lavoratori e le potenzialità di ripartenza delle imprese”.
Un appello è rivolto ai sindacati e Confindustria per la promozione di una “politica economica che fronteggi finalmente l’eccessivo carico fiscal che grava sul lavoro e sull`impresa”.
“La situazione è così fragile che non si può sprecare nessuna risorsa né fare mosse sbagliate”. A rendere più complessa la sfida sono quindi i vincoli della finanza pubblica, che limitano le risorse per le politiche del lavoro. “L’Italia – rileva lo studio – è tra i paesi che meno spendono per le politiche attive”.
“Le politiche del lavoro – aggiunge il Cnel – non potranno che utilizzare strumenti a costo ridotto e puntare sulle immense economie derivanti dalla valorizzazione della collaborazione come vantaggio competitivo, dal miglioramento dei prodotti e dei processi, l’ottimizzazione dell’organizzazione del lavoro in funzione sia delle esigenze del mercato che di quelle dei lavoratori. Ma anche dall’investimento in formazione e addestramento e dal potenziamento della gestione delle risorse attraverso la partecipazione. A questo compito è chiamata non solo la politica economica, ma anche l’azione delle parti sociali”.
Destano forti preoccupazioni le condizioni in cui versano i giovani, con un tasso di attività tra chi ha un’età compresa tra 15 e 29 anni) che continua a crescere, nonostante rappresentino meno del 7% degli attivi mentre gli over 55 sono ormai più del 12%.
Non si arresta il fenomeno dei Neet (not in employment, education or training): la quota di ragazzi che non hanno un’occupazione e al tempo stesso non sono a scuola o in formazione si attesta al 23,9% della popolazione giovanile, con punte di 35% nelle regioni del Mezzogiorno.
PIÙ DELLA METÀ DEGLI ITALIANI CERCA LAVORO ALL’ESTERO
Oltre il 50% dei candidati entrati in contatto con Michael Page valuta opportunità di lavoro in Asia (specialmente Singapore) e America Latina. I paesi che offrono potenzialmente maggiori opportunità sono quelli caratterizzati da un’economia trainante, come appunto i paesi del Sud America (Brasile, Cile, Colombia, Perù), i paesi asiatici (India, Cina, Indonesia, Malesia), il Sud Africa e il Medio Oriente oltre alla Germania per ciò che riguarda l’Europa. I paesi più ambiti e frequentati dagli italiani sono Svizzera, Cina, India, Brasile, Singapore e USA; quelli più accoglienti risultano essere la Svizzera e la Germania per l’Europa, Singapore per il mercato asiatico, il Cile per il Sud America e infine gli USA.
I settori con maggiori opportunità di spostamento all’estero sono quelli legati ai servizi, all’oil & gas e alle funzioni sales. Tra i profili professionali senior, i ruoli collegati alla direzione industriale sono oggi caratterizzati da una maggiore mobilità a livello internazionale, risultato conseguente al processo di delocalizzazione degli ultimi vent’anni. In particolare, la figura dell’esperto in Lean Manufacturing è sempre più coinvolta in attività di riorganizzazione industriale nei siti esteri e richiede, quindi, una lunga permanenza fuori dall’Italia.
Altra figura che tradizionalmente risiede all’estero è quella del General Manager o Branch Manager, responsabile delle operazioni commerciali o manifatturiere nel paese straniero. Per le imprese italiane con filiali internazionali, tale figura ha un’importanza strategica per il buon esito del processo di internazionalizzazione del proprio business e spesso rappresenta la “longa manus” della proprietà nei paesi stranieri.