Italia come Corea, Giappone e Germania. Da qui al 2050 ci sarà un forte calo della forza lavoro. A dirlo l’Ocse secondo cui questi paesi saranno tra i più colpiti dal declino della popolazione in età lavorativa.
Prendendo come base di riferimento la popolazione di ciascun paese tra i 20 e i 64 anni nell’anno 2000, l’OCSE ha calcolato che entro il 2050 si calcola che questa sarebbe stata di circa l’80% della sua dimensione originaria in Corea e in Italia. In Giappone, il paese più colpito, questo numero sarebbe di poco più del 60 per cento.
Per l’OCSE in totale, si prevede che la popolazione in età lavorativa aumenterà e nel 2050 sarà pari al 111 per cento del dato del 2000. La crescita è trainata da paesi con tassi di natalità elevati e una popolazione numerosa, come l’Australia, la Turchia e gli Stati Uniti. Mentre la popolazione in età lavorativa del Giappone è in declino dagli anni ’90, la popolazione in età lavorativa coreana è cresciuta fino ad oggi, ma si prevede che inizierà il suo declino quest’anno.
In Italia a proposito di lavoro è da qualche tempo oggetto di discussione il salario minimo, la cui introduzione è fortemente voluta specie dal Movimento Cinque Stelle che ha proposto 9 euro medi lordi orari, netti invece nella proposta di legge targata Pd. Ma i sindacati sono fertemente contrari sottolineando che la contrattazione collettiva è il punto di riferimento fondamentale.
Così il presidente di Imprese Italia, Giorgio Merletti (Confartigianato), in commissione Lavoro alla Camera ha espresso la contrarietà “all’introduzione di un salario minimo legale che consideriamo negativo per le imprese e per i lavoratori”.
“Colpirebbe la contrattazione collettiva, provocando un’alterazione degli equilibri economici e negoziali faticosamente raggiunti. Si creerebbero difficoltà alle imprese e finirebbero penalizzati proprio i lavoratori i cui salari sarebbero schiacciati sulla soglia minima e verrebbero privati del welfare contrattuale. Tutto ciò senza riuscire a combattere il fenomeno del lavoro nero nè a risolvere la questione dei working poor”.