ROMA (WSI) – Cresce il valore dell’economia sommersa in Italia. Lo comunica un report dell’Istat che stima, nel 2013, un valore aggiunto del “nero” a 190 miliardi di euro, pari all’11,9% del Pil: si tratta di un aumento percentuale del +0,2% rispetto all’anno precedente.
Nel complesso, l’economia non osservata vale 206 miliardi di euro: il 12,9% del Pil. Dei 190 miliardi di valore aggiunto 16 miliardi provengono dalle attività illegali (pari all’8%); anche se la quota più cospicua deriva dalla sotto-dichiarazione delle attività economiche da parte degli operatori, che conta il 47,9%. Un ulteriore 34,7% del sommerso, invece, proviene dal valore aggiunto del lavoro nero, mentre altre componenti (come canoni di locazione irregolari e mance) compongono un restante 9,4%.
A livello complessivo i settori per i quali l’economia non osservata vale di più in termini di valore aggiunto sono: Altre attività dei servizi (32,9% nel 2013), Commercio, trasporti, attività di alloggio e ristorazione (26,2%), Costruzioni (23,4%).
Per quanto riguarda, più nello specifico, le sotto-dichiarazioni delle proprie attività economiche a trarne beneficio sono soprattutto i settori dei ‘Servizi professionali’ (con un’incidenza del 17,5% nel 2013), delle costruzioni (14,2%) e del commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (13,9%).
Il capitolo del lavoro in nero incide in particolare sugli ‘Altri servizi alle persone’ nel quale si collega soprattutto al lavoro domestico(21,7% la quota sommersa di valore aggiunto), e nell’agricoltura, silvicoltura e pesca (15,4%).
Al di là del giro d’affari prodotto, l’impiego in nero, condizione nella quale lavoravano 3 milioni e 487mila persone nel 2013, è diffuso largamente nei ‘Servizi alla persona’ (badanti e simili) settore nel quale quasi la metà dei lavoratori è irregolare (45% nel 2013). A seguire a distanza compaiono l’agricoltura (17,6), commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (15,6%) e il settore delle costruzioni (15,4).