Quali armi, ancora, potrà ancora sfoderare il numero uno della Bce Mario Draghi, al fine di combattere la stagnazione che continua a martoriare l’Europa?
Italia alle prese con l’incubo deflazione e intrappolata nella crescita zero; e, nel complesso, una Eurozona che assiste a un rialzo del Pil a dir poco anemico.
Proprio oggi sono arrivati i dati dell’Eurostat, che hanno confermato il Pil del secondo trimestre, mettendo di nuovo in evidenza come l’Italia sia rimasta al palo, insieme a Francia e Finlandia. Niente zero virgola stavolta ma, come era stato già reso noto poche ore fa dalla nota mensile dell’Istat, una crescita zero che rischia di protrarsi anche nei prossimi mesi, a dispetto dell’ottimismo del governo Renzi. Nella nota mensile relativa all’economia italiana, l’istituto nazionale di Statistica è stato chiaro e, oltre a parlare di crescita interrotta per l’economia italiana, ha messo in evidenza la continua latitanza dell’inflazione, sottolineando che il trend non dovrebbe neanche cambiare, almeno nei prossimi mesi.
Oltre al nodo Italia, c’è quello di una Eurozona che è rimasta quasi insensibile agli sforzi di Draghi: le ultime indicazioni che arrivano dal fronte macro hanno segnalato come in Eurozona l’inflazione sia cresciuta di appena lo 0,2% ad agosto, a fronte del rallentamento della componente core. E le informazioni arrivate dal fronte manifatturiero hanno confermato la fase di maggiore debolezza in 19 mesi.
Lo stesso membro del Consiglio direttivo della Bce, Yves Mersch, in occasione del Forum Ambrosetti che si è tenuto a Cernobbio, in Italia, ha ammesso che il ritmo della ripresa economica “è insoddisfacente”. A questo punto, appare sempre più probabile che, nel meeting di dopodomani, 8 settembre, la Bce di Draghi faccia qualche annuncio. Anche perché, come anticipa Joerg Kraemer, responsabile economista di Commerzbank, “la Bce abbasserà seppur lievemente le proprie stime sull’inflazione core e sulla crescita”.
Non si può poi non citare la Brexit come fattore che Draghi è costretto a tenere in considerazione, in uno scenario sempre più incerto.
Secondo alcuni analisti, una possibile mossa potrebbe essere quella di prorogare ulteriormente l’acquisto di bond del piano di Qe che avviene ogni mese per un valore di 80 miliardi di euro. E’ probabile così che la Bce decida di estendere il piano di acquisti di titoli di stato, posticipando la data della fine del programma dal marzo del 2017 al settembre del 2017. Per poi, una volta in possesso di nuovi numeri sull’inflazione e sulla crescita, lanciare un nuovo round di stimoli monetari nella riunione di dicembre.
Report Citi: ecco come i ricchi diventano piĂą ricchi
Un nuovo report di Citi  mette tuttavia in evidenza come il QE di Draghi, così come quello delle altre banche centrali, funzionerà sempre di meno. E forte è la critica verso il danno che la politica di tassi a zero o negativi avrebbe provocato alla società .
Secondo Hans Lorenzen, analista del credito di Citi, la Fed, la Bank of England e la Bce, con le loro politiche di bassi tassi di interesse,  hanno aumentato le diseguaglianze economiche nell’Occidente, reso i ricchi ancora più ricchi e danneggiato le pensioni.
“Il danno causato al sistema è più forte dei benefici”.
Con i bond che pagano ormai zero interessi, se non negativi (e in questo caso i detentori di bond devono anche pagare per gli strumenti finanziari che possiedono), i flussi di investimenti si sono diretti verso l’azionario. Ma tale fattore si è tradotto in maggiori disuguaglianze all’interno della società . Ecco come:
- Le banche centrali hanno iniettato un enorme ammontare di liquidità  nell’economia globale.
- Questa liquiditĂ ha gonfiato le valutazioni dei titoli azionari
- I ricchi ne sono stati i principali beneficiari, ma hanno deciso di risparmiare invece di spendere, dunque l’effetto sui salari è stato ridotto.
- I bassi tassi di interesse hanno arrecato danni alle pensioni, dal momento che è diventato più difficile per le grandi aziende riuscire a finanziarle.
- L’effetto è che gli investimenti sul capex sono diminuiti.
- Gli investimenti hanno perso di appetibilità perchè il contesto di deflazione implica un basso tasso di produttività e bassi rendimenti.
- Dunque, invece di prendere a prestito per investire, le aziende europee si sono focalizzate sul taglio dei costi.
- Le aziende Usa, invece, hanno utilizzato i soldi per lanciare operazioni di buy-back sulle loro stesse azioni, a vantaggio soprattutto dei ricchi.
- Nessuno, in questo sistema, ha creato occupazione o aumentato i salari.
Sempre Citi ha lanciato poi l’allarme sulla perdita di efficacia del QE facendo riferimento all’indicatore noto con la sigla WACC, che sta per weighted-average cost of capital, ovvero per il costo medio ponderato del capitale. Si tratta del costo che l’azienda deve sostenere per raccogliere risorse finanziarie presso soci e terzi. Un costo che, spiega Bloomberg parlando sempre dell’analisi di Hans Lorenzen, rimane elevato grazie all’elevato costo dell’equity. Tanto che il report lancia un appello alle banche centrali, invitandole a rinunciare a ulteriori acquisti di asset, anche a causa di dubbi crescenti sull’efficacia di queste manovre. E comunque, viene spiegato, le aziende non stanno beneficiando dei vantaggi che la flessione globale dei tassi di interesse a lungo termine dovrebbe creare, a causa del premio sul rischio azionario sempre più alto.
Continua Bloomberg:
“Sebbene di norma le aziende non siano dipendenti dall’emissione di azione per finanziare i programmi di investimento – puntando più che altro sui mercati del reddito fisso – il premio sul rischio è un fattore importante che influenza le decisioni di investimento prese dai cda. Maggiore è il costo dell’equity, maggiore è il costo teorico del capitale”.
Si tratta tra l’altro di un problema sempre più globale, come dimostra questo altro grafico:
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Al di là dell’analisi di Citi, è probabile che Draghi annunci dopodomani una estensione del QE, ma non un nuovo taglio dei tassi (in quanto attenderebbe nuovi dati per poi agire in modo più incisivo verso la fine dell’anno).
Sta di fatto che aumenta sempre più lo scetticismo, tra gli stessi economisti, sulla reale capacità della Bce di riportare l’inflazione dallo 0,2% al target pari a un valore inferiore appena al 2%. Meno del 70% degli economisti intervistati da Bloomberg ritiene che Draghi riuscirà a raggiungere l’obiettivo di far risalire l’inflazione prima del suo addio alla Bce, nel 2019, rispetto all’85% dello scorso anno.
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