MILANO (WSI) – Dopo i 320 miliardi di euro di interessi pagati negli ultimi tre anni, secondo le stime contenute nel Documento di Economia e Finanza varato dal governo qualche settimana fa, l’Italia pagherà, fino al 2018, altri 420 miliardi di euro di interessi, ossia un quinto del volume totale del debito pubblico attuale.
Secondo quanto riportato nel sezione specifica del DEF, la stima che fa il Governo, in buona sostanza, si fonda “assumendo che il differenziale dei tassi di interesse sulla Germania (Spread, ndr) sulla scadenza a 10 anni rimanga coerente con con il 2014, per poi scendere progressivamente a 150 punti base nel 2015 e 100 punti base nel 2016 fino all’ultimo anno di simulazione”.
In realtà, si tratta di un criterio di previsione di spesa per interessi assai fallace, poiché non tiene in considerazione il fatto che i rendimenti dei titoli di Stato potrebbe comunque aumentare senza che ciò impatti sullo spread, che potrebbe rimanere invariato o addirittura diminuire.
Quindi, il conto potrebbe salire e anche di molto.
Del nostro stesso avviso è anche Bankitalia, che a pagina 11 dell’ultimo Rapporto sulla Stabilità Finanziaria pubblicato qualche giorno fa, scrive:
“Il rialzo dei tassi di interesse a lungo termine registrato negli stati Uniti dalla primavera del 2013 si è accompagnato a un incremento, ancorché più limitato, di quelli tedeschi e, inizialmente, anche di quelli dei paesi dell’area dell’euro più colpiti dalle tensioni sui titoli di stato, tra i quali l’Italia. Vi è la possibilità che nuovi rialzi dei tassi statunitensi si trasmettano ai tassi in euro, con conseguenze negative per l’attività produttiva”.
Le preoccupazioni espresse da Bankitalia sono ancor più fondate se si pensa che la Federal Reserve sta continuando la riduzione degli stimoli monetari (tapering), portando a 45 miliardi di dollari gli acquisti mensili di titoli di stato e obbligazioni, dagli 85 originariamente previsti.
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