L’Italia è da tempo il grande sorvegliato speciale d’Europa e a causare timori e preoccupazioni, come anche annunciato qualche giorno dall’agenzia di rating Fioth, l’instabilità politica. Ma le prossime elezioni italiane, che si terranno con tutta probabilità a maggio del 2018, preoccupano anche oltreoceano e in particolare le grandi banche dello zio Sam alzano il livello di guardia.
Il motivo è semplice: una bella fetta del debito pubblico italiano, come rivela Libero Quotidiano, è in mano a investitori esteri, circa il 30% del totale sui 726,8 miliardi di euro così come ha recentemente rivelato Bankitalia. E chi sono questi investitori stranieri? Goldman Sachs, Jp Morgan, Citigroup e Merrill Lynch. Gli stranieri infatti, nonostante sia aumentata la percentuale di bot e btp che compra Bankitalia, restano i principali azionisti del debito nostrano. Da qui la grande attenzione verso il nostro paese, attenzione che sale parecchio con l’avvicinarsi delle elezioni politiche.
Le grandi banche hanno iniziato così a fare pronostici su quel che accadrà dopo il voto in Italia passando al setaccio tutte le possibili opzioni: un governo a guida Pd, una grande coalizione con Pd e Forza Italia, l’ascesa al governo dei Cinque Stelle con Di Maio premier. Ma tra queste ipotesi quella più originale è stata Citigroup che, a differenza di tutti, vede nell’instabilità politica e quindi un parlamento frammentario la chiave di volta per l’Italia.
“Pensiamo che – rebus sic stantibus – il Paese potrebbe trarre maggior vantaggio da un parlamento paralizzato che non da governi a maggioranza debole come nel recente passato o dal ritorno a una legge elettorale che favorisca la nascita di coalizioni di governo”.
Ma è un altro passaggio che allarma ed è quando Citigroup invoca le riforme lacrime e sangue di Mario Monti.
“Se nessuno sta governando, nessuno può lamentarsi per l’introduzione di riforme impopolari e tasse. Quindi, un parlamento senza maggioranza – e un governo ad interim basato su una maggioranza fluida – potrebbe consentire all’Italia (e all’Europa) di completare un processo che istituzioni più deboli hanno iniziato nel 2011″.