Economia

L’Italia invecchia: a breve mancheranno 100mila lavoratori

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

100 mila lavoratori in meno all’anno: l’uscita dal mondo del lavoro dei baby boomer potrebbe creare una vera e propria voragine in Italia. Da oggi fino al 2030 il raggiungimento dell’età della pensione causerà un vero e proprio buco nella forza lavoro del nostro paese.

Queste sono le previsioni contenute all’interno di un’analisi effettuata da Prometeia, dal titolo Population decline and labour market mismatch in Italy, attraverso la quale sono stati analizzati i rischi del continuo calo della popolazione sul mercato del lavoro.

Ogni anno nel nostro paese almeno 500mila lavoratori andranno in pensione ogni anno. E dovranno essere sostituiti dalle nuove leve sul posto di lavoro. Purtroppo i giovani, numericamente parlando, sono molto meno rispetto a quelli nati negli anni 50 e nei primi anni 60: potrebbero, infatti, coprire unicamente 400 mila posti vacanti ogni anno, nel caso in cui dovessero esserci dei tassi di occupazione in linea con quelli europei.

100mila lavoratori in meno ogni anno

Da oggi fino al 2030 abbandoneranno il proprio posto di lavoro oltre mezzo milione di persone ogni anno. Andranno in pensione trasversalmente impiegati ed operai. Compatibilmente con le strette decise dal governo per l’uscita del lavoro, si ritireranno almeno 500mila persone ogni anno. Se da un lato c’è da gioire per qualcuno che riesce a godersi la pensione, c’è anche da preoccuparsi per la loro sostituzione. La popolazione più giovane avanza, ma non abbastanza. Le nuove leve garantiscono l’afflusso di almeno 400mila nuovi lavoratori ogni anno. Si viene ad aprire un buco di 100mila lavoratori ogni anno.

Dall’analisi effettuata da Prometeia non emerge un quadro sereno. Le aziende, infatti, si troveranno in difficoltà a reperire la manodopera, soprattutto quando si inizia ad alzare l’asticella e cercare quella specializzata. Un problema che è dietro l’angolo: non è una prospettiva del futuro. A preoccupare, tra l’altro, ci sono anche gli investimenti del Pnrr e tutte le sfide che l’Italia dovrà affrontare nel corso dei prossimi anni, come la transizione tecnologica, la digitalizzazione ed il cambiamento climatico. Per questi progetti potrebbe mancare, numericamente parlando, la forza lavoro necessaria.

Una popolazione sempre più vecchia

A certificare l’invecchiamento della popolazione italiana è, tra l’altro, l’ultimo rapporto redatto dall’Istat. Andando a prendere in considerazione la porzione della popolazione di età compresa tra i 15 ed i 64 anni – ossia quella statisticamente in età lavorativa – nel 2012 sono state perse 1,2 milioni di persone, benché l’afflusso dell’immigrazione abbia in minima parte rallentato questo declino.

In questo momento i baby-boomer, ossia la generazione nata negli anni cinquanta e sessanta, si accingono ad andare in pensione. Il saldo tra le entrate e le uscite nel mondo del lavoro diventa effettivamente negativa.

Gli equilibri

L’equilibrio del sistema, tra l’altro, risulta essere molto più minacciato se lo si guarda da vicino. Molto importante analizzare cosa stia accadendo analizzando il flusso dei lavoratori per il livello di formazione/educazione. Qui si va ad aprire un vero e proprio mismatch sul fronte delle persone che hanno delle scarse qualifiche: nella maggior parte dei casi sono concentrate nella fascia di popolazione più vicina alla pensione. I giovani, invece, hanno dei titoli di studio più alti.

Senza dubbio l’evoluzione tecnologica dei processi produttivi dovrebbe determinare la domanda di lavoro qualificato. Il fatto che i giovani abbiano una preparazione maggiore dovrebbe essere smussato proprio dalle nuove figure ricercate dagli imprenditori. Il problema, comunque vada, continua a rimanere sul tavolo.

Deve essere poi tenuta in considerazione anche la componente settoriale. Nell’industria, infatti, è occupata il 25% dei lavoratori uomini, mentre le donne costituiscono solo il 12%. Discorso diametralmente opposto è quello dei servizi – con esclusione del commercio e dell’ospitalità – dove il 68% degli occupati sono donne. Questi squilibri andranno a pesare sui meccanismi di sostituzione.