Roma – La proposta di tagliare il cuneo fiscale rischia, ancora una volta, di impantanarsi nella giungla dei pochi denari a disposizione. Perché la misura sia un minimo significativa per rilanciare i consumi e gli investimenti, lasciando più soldi nelle tasche dei lavoratori e nelle casse delle imprese, servono almeno 10 miliardi, in grado di alzare il Pil di un punto e mezzo in due anni.
Così scrive il “commissario” Giavazzi nel dossier richiesto dal governo per sfoltire e razionalizzare gli incentivi a pioggia di cui usufruiscono le aziende e rimasto sin qui lettera morta. Ma di questo gruzzolo, per ora, neanche l’ombra. Congelare il taglio alle aliquote Irpef (4,3 miliardi nel 2013, 6 a regime), certo non basta.
E in ogni caso l’eventuale operazione “meno cuneo con meno Irap” dovrebbe essere accompagnata anche da misure Irpef per pensionati, incapienti, bisognosi. E dal ripristino delle detrazioni allo standard attuale (ora tagliate per 2 miliardi nel 2013 e 1,1 a regime).
IL PASSATO NON AIUTA
Dieci miliardi, dunque. Una cifra che potrebbe rivelarsi addirittura insufficiente, visto l’esito del 2007. Quando il governo Prodi tagliò il cuneo di 5 punti (3 per le imprese e 2 per i lavoratori) agendo su contributi sociali e Irap, spese 10 miliardi, appunto, senza effetti rilevanti: una trentina di euro di oneri in meno al mese per le aziende su ciascun dipendente, una ventina in più al lavoratore. Ma certo sarebbe un segnale.
UN PESO SOFFOCANTE
La situazione di partenza è allarmante. L’Italia traina da anni la triste classifica dei peggiori paesi dell’Ocse quanto a incidenza sul costo del lavoro di Irpef e contributi sociali (a carico di datori e dipendenti), al netto degli assegni familiari.
Nel 2011 il peso delle tasse sulla busta paga era al 47,6%, superiore di 5,5 punti alla media dell’Eurozona (42,5%). Addirittura 9 punti per un lavoratore con coniuge e due figli a carico (38,6%).
IL DDL STABILITÀ
La manovra che tutti vogliono cambiare in realtà già taglia il cuneo fiscale. Lo rivela Bankitalia, nella relazione del direttore generale Salvatore Rossi di due giorni fa in Parlamento. Grazie al taglio delle due aliquote minori dell’Irpef «tra il 2012 e il 2013 il cuneo scenderebbe di 0,6 punti percentuali al 45,1% del costo del lavoro» e «di 0,7 punti al 36,7% per un lavoratore con coniuge e due figli a carico».
Le stime, si precisa, differiscono un po’ da quelle Ocse, perché «tengono conto dell’Irap e delle addizionali comunali e regionali».
SPREAD E DISMISSIONI
«Gli effetti di stimolo sull’offerta di lavoro sarebbero limitati», conclude però Bankitalia. Al pari dello sgravio. Nessuna spinta per gli inoccupati a cercare un posto o per quelli che ce l’hanno a lavorare più ore. Che fare allora per incidere di più?
Ieri Confindustria ha suggerito di usare il “tesoretto” dello spread (circa 5 miliardi) e i proventi del piano dismissioni. Il primo però ci sarà solo se “quota 300” rimane quantomeno costante. Il secondo, per ora, è un piano fantasma.
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