NEW YORK (WSI) – Oltre al bisogno di conservare liquidità in bilancio, un’altra scusa che le banche usano di solito per difendersi dalle accuse di aver interrotto i finanziamenti alle imprese è il fatto che la domanda di credito in arrivo dal settore aziendale sia calata.
Le vicende raccontate nell’ultimo articolo del Wall Street Journal a firma Giovanni Legorano vanno in tutta un’altra direzione.
Pietro Fattorini, proprietario di una società di marmo nelle Marche ha dovuto fare ricorso all’amministrazione controllata, ma non per carenza di domanda. L’azienda fondata 23 anni fa continua a ricevere tanti ordini dai clienti stranieri.
Per anni però Banca Marche ha esteso una linea di credito da €800 mila euro al signor Fattorini. E mentre le faceva la società di marmo realizzava fatturati in aumento del 20% costante dal 2008, mentre l’istituto chiudeva i rubinetti, riducendo la linea creditizia a €150 mila, domandando un collaterale e aggiungendo per la prima volta una commissione.
Questa situazione ha spinto l’imprenditore 47enne ha dichiarare il fallimento a settebre. Non è l’unico caso. Il Monte dei Paschi di Siena, che ha perso €8 miliardi e 500 milioni negli ultimi tre anni, è diventato l’esempio dell’effetto domino che hanno i guai di un istituto di credito sulle comunità aziendali locali.
La banca, una volta creatore di lavoro e principale fonte di finanziamento in Toscana, sta licenziando migliaia di persone, riducendo le attivitià di prestito e ridimensionando le spese sui gruppi regionali e quelli comunali di Siena.
Come mostra l’esempio di Fattorini, una situazione simile a quella senese si sta verificando anche nelle Marche, una regione famosa per il sucesso delle sue vibranti industrie di scarpe, mobili e arredamento.
I prestiti inesigibili sono saliti del 35% dalla fine del 2011 a oggi e come visto non dipende solo dal calo della domanda per le piccole e medie imprese. I finanziamenti alle società sono scesi del 5% nello stesso periodo, secondo gli ultimi dati dell’ABI.
La stretta creditizia ha pesato in particolare sulle piccole società, che rappresentano oltre il 90% delle aziende italiane. Queste, non potendo ad esempio emettere bond, spesso non hanno altra scelta che trovare risorse esterne rivolgendosi alle banche.
Ma la siccità di linee creditizia dà il colpo di grazia a molte società italiane che devono fare i conti in molti casi anche con una riduzione della domanda in un contesto recessivo.
Il numero di fallimenti non era così alto da 10 anni a questa parte. Sono oltre 62 mila le imprese che hanno chiuso i battenti nei primi nove mesi dell’anno, secondo le cifre pubblicate dalla società di ricerche Cerved, per un aumento del 7,3% dall’analogo periodo 2012 e un rialzo del 57% da 10 anni fa.