ROMA (WSI) – Ci sarà una cancellazione dell’aumento dell’Iva solo se l’Italia riuscirà a ridurre le spese. Lo ha detto Pier Carlo Padoan alle autorità europee per rassicurarle sui piani del governo.
Il ministro del Tesoro italiano ha fatto recapitare una lettera a Valdis Dombrovskis, vice presidente della Commissione Ue presieduta da Jean-Claude Juncker, e al commissario agli affari monetari Pierre Moscovici. Si tratta di due pagine scarse, necessarie a motivare la posizione italiana sull’andamento dei conti pubblici.
Ancora qualche settimana fa, quando il presidente della Commissione ne aveva parlato in un faccia a faccia con il premier Matteo Renzi, ma nessuno a Roma credeva si sarebbe resa necessaria una lettere. Il fatto è che le cose si sono complicate nel frattempo. Innanzitutto per i problemi interni di Angela Merkel in Germania, dove la coalizione di governo è minacciata dall’avanzata a destra dell’Afd ed è sotto pressione dopo le concessioni fatte alla Grecia in tema di debito pubblico.
Le ragioni dell’austerità a tutti i costi hanno lasciato spazio a quelle di una maggiore espansione fiscale, non abbastanza da convincere la Commissione a far passare tutte le richieste italiane. “La riduzione del rapporto fra debito e prodotto interno lordo è uno degli obiettivi chiave del governo italiano, al pari della riduzione del deficit”, esordisce Padoan nella lettera che La Stampa ha potuto visionare e di cui Alessandro Barbera offre un resoconto stamani.
“Il governo Renzi, come tutti quelli che lo hanno preceduto negli ultimi anni, ha promesso (invano) la riduzione di quella montagna di debiti. L’impegno preso l’anno scorso è fallito, e Padoan – a denti stretti – lo ammette: «Il rapporto è stato virtualmente stabilizzato nel 2015, nonostante le avverse condizioni economiche»”, si legge nelle pagine del quotidiano torinese diretto da Molinari.
Le promesse per il 2016
Ora la Commissione punta il dito sull’impegno preso per quest’anno: secondo le sue previsioni non scenderà nemmeno stavolta, e lo stima inchiodato al 132,7 per cento, tre decimali sopra i numeri del governo. Il ministro del Tesoro cerca di rassicurare i colleghi: «Ci aspettiamo che il rapporto inizi a scendere nel 2016, e che il calo proceda in maniera più intensa nel periodo 2017-2019». Del resto – aggiunge Padoan – «sin dal 2012, e grazie a consistenti avanzi primari, il deficit è sotto il tre per cento».
Non solo: «dopo aver raggiunto il 2,6 per cento nel 2015 e il 2,3 quest’anno, nel 2017 è previsto all’1,8 per cento». Per rassicurare la Commissione sulla serietà dell’impegno, Padoan ricorda che le clausole di salvaguardia – quelle che prevedono un aumento di quattro punti di Iva in caso di mancate riduzioni di spesa – «sono tuttora in vigore» e potranno essere sterilizzate «solo con la nuova legge di Stabilità» attraverso la riduzione delle spese.
Il tetto per la flessibilità
I numeri sono quelli scritti nero su bianco nei documenti ufficiali, ma per la Commissione non bastano: le regole dicono che il tetto per la flessibilità non può superare lo 0,75 per cento come somma fra la clausola per gli investimenti e quella per le riforme. Renzi e Padoan insistono nel chiedere di più: «Sia nel 2015 che nel 2016 l’Italia si è dovuta far carico di spese per la gestione della crisi migratoria nell’ordine dello 0,2 per cento su base annua. Crediamo che di questi sforzi si debba tenere conto».
Benché si tratti di zero virgola – più o meno quattro miliardi – questo è il punto di maggior frizione. Più che una questione di numeri è in gioco il principio: il governo vuole riconosciuta una clausola non formalmente contemplata. Stesso discorso vale in fondo per il debito: già l’anno scorso la Commissione aveva riconosciuto all’Italia l’eccezione prevista dall’articolo 126.3 dei Trattati.
Padoan ricorda la circostanza: «L’attuale contesto economico è persino più complicato per la riduzione del debito, perché si è intensificata la pressione deflazionistica». È così: se i prezzi non salgono, il numeratore (ovvero il prodotto interno lordo) non sale abbastanza da far scendere il rapporto con la mole di debito. Poi c’è la questione sollevata dall’Italia e da altri sette governi su come calcolare il pareggio strutturale, uno dei parametri sulla base dei quali si valuta lo sforzo di aggiustamento. Quel che il governo non dice è che nel frattempo è slittata la vendita del quaranta per cento di Ferrovie, la voce che avrebbe dovuto contribuire di più al calo del debito di quest’anno.
Fonte: La Stampa