Il Paese è sotto la pressione dei mercati. Se i tassi rimanessero troppo alti troppo a lungo tornerebbero i fantasmi del 2011-2012. La soluzione potrebbe essere l’adozione graduale delle misure promesse in campagna elettorale
Che l’Italia rappresenti oggi il principale rischio sistemico per l’intera Eurozona è sotto gli occhi di tutti. Non solo per la reazione dei mercati alla presentazione del progetto di bilancio per il 2019 ma anche per la tensione che si respira nei rapporti tra governo italiano e Bruxelles. La posta in gioco è molto alta.
“Le conseguenze politiche del rifiuto delle stime di bilancio da parte della Commissione europea possono essere significative in termini di un accrescimento della popolarità della fazione euroscettica in Italia. Possono anche avere un impatto negativo importante sugli asset italiani, soprattutto se si considera la probabilità di un declassamento del rating dell’Italia da parte delle agenzie di credito, a meno che il governo italiano non ritorni sui propri passi nel frattempo”
chiarisce Jason Borbora, assistant portfolio manager di Investec am, che evidenzia in tal modo come il pericolo sia bifronte. Da un lato un crollo dell’Italia, dall’altro l’assedio a Bruxelles dei partiti cosiddetti populisti.
Come se ne esce? Chi farà il passo indietro, l’Italia o l’Europa?
I margini per il Belpaese sono in realtà molto stretti, come spiega Marcela Meirelles, managing director fixed income di Tcw:
“La crescita continua a essere bassa, quindi è necessario uno sforzo sistematico per mantenere stabile il rapporto debito/Pil. Dal momento che l’Italia spende già il 3,5% del Pil per il pagamento degli interessi sul debito, per mantenere il deficit complessivo a livelli accettabili occorre un avanzo primario stabile pari ad almeno l’1,5% del Pil”.
“Stando ai dati Ocse – rincara la dose Yves Longchamp, head of research di Ethenea – il debito italiano è attualmente pari al 151% del Pil. Secondo i nostri calcoli, il tasso di interesse massimo sostenibile dall’Italia è compreso tra lo 0,6% e l’1,6%, valore ben al di sotto dell’attuale tasso a dieci anni, al 2,9%”.
Numeri che giustificano ampiamente la reazione dei mercati. Riprende Borbora:
“Fino ad ora non crediamo che la reazione dei mercati sia esagerata. Il differenziale tra il rendimento a 10 anni del debito italiano e quello tedesco è di circa il 3%, con un incremento di circa il 2% rispetto ai minimi del 2018, ma solo circa la metà di quello osservato nella crisi dell’euro del 2011. Inoltre, l’indice Ftse Mib ha sottoperformato il più ampio EuroStoxx 50 praticamente di solo il 4% quest’anno. Questa situazione non sembra suggerire un estremo pessimismo, in particolare visto che il sottoindice Ftse Mib Banks ha sovraperformato l’indice EuroStoxx Banks quest’anno”.
La situazione sui mercati potrebbe quindi peggiorare
Tassi di interesse “troppo elevati troppo a lungo potrebbero provocare l’intervento della Bce o del Meccanismo europeo di stabilità”. Non è quindi da escludere un intervento della troika.
Ricorda Longchamp che risveglia i fantasmi del 2011-2012, quando l’impennata dei rendimenti sui titoli di Stato italiani mise in pericolo la tenuta dell’euro e spinse il governatore della Bce Mario Draghi a pronunciare la storica frase “Whatever it takes”.
“Fortunatamente non siamo ancora arrivati a questo punto – concede Longchamp – ma occorre monitorare attentamente gli sviluppi futuri e valutare con grande prudenza gli investimenti nella penisola”.
Dalla sua l’Italia ha pochi assi nella manica. Il primo è la convinzione di essere troppo grande, come economia, perché la si lasci fallire. Il secondo è spingere sull’acceleratore della crescita, quello che vorrebbe fare il governo. Gli spazi però, si è visto, sono limitati.
“L’implementazione immediata di tutte le misure avrebbe un costo pari a circa il 7% del Pil”
spiega Marcela Meirelles di Tcw. Un costo che il Belpaese non si può permettere.
“D’altronde – prosegue – un deficit al di sotto del 2% del Pil sarebbe stato molto apprezzato dal mercato ma non avrebbe lasciato quasi nessun margine per l’ambizioso piano di stimoli promesso durante la campagna elettorale. Riteniamo improbabile che il governo vi rinunci completamente. Non è però da escludersi una adozione graduale delle misure di stimolo. È un approccio interessante, che sarebbe probabilmente sufficiente a impedire che l’Italia perda lo status di investment grade nel prossimo anno e che potrebbe addirittura essere positivo per la crescita”.
I prossimi appuntamenti chiave per l’Italia
15/10 Invio bozza di bilancio a Bruxelles
20/10 Presentazione del disegno di Legge di bilancio in Parlamento
26/10 Revisione rating Italia da parte di S&P’s. (Entro fine ottobre arriverà anche il giudizio di Moody’s)
30/11 Primo parere della Commissione europea sul disegno di Legge di bilancio