di Jack Janasiewicz gestore di Natixis Investment Managers
Mentre commentatori e analisti possono nel migliore dei casi fare ipotesi sui possibili risultati dell’incontro virtuale tra i principali banchieri centrali a Jackson Hole, alcuni argomenti sono già stati evidenziati dai membri della Fed in diversi interventi riguardo ai suoi potenziali cambiamenti in materia di politica monetaria e processo decisionale.
La nuova strategia della Fed
I due temi che sembrano essere i più rilevanti ruotano intorno alla forward guidance e a un obiettivo di inflazione asimmetrica. Dobbiamo sempre tener presente il duplice mandato della Fed: stabilità dei prezzi e massima occupazione.
Il recente contesto economico ha messo in discussione entrambi gli aspetti, rendendo quanto mai pertinente una revisione delle politiche esistenti in vista di futuri interventi.
L’obiettivo di inflazione sarà variabile e non più fisso al 2%
Di recente l’adozione di un obiettivo di inflazione asimmetrica è diventato un argomento caldo, già accennato dai funzionari in qualche occasione. La questione che riguarda la strategia della Fed per il raggiungimento del proprio obiettivo dichiarato del 2% di inflazione può mandare in tilt qualsiasi prospettiva di ripresa economica.
Ed è facile capire l’importanza di questo punto, dati i danni all’economia che hanno fatto seguito alle risposte per contenere la pandemia. Gli economisti hanno definito l’obiettivo d’inflazione come una strategia del passato, che non cerca, però, di compensare le mancanze del passato.
Pensiamo ad esempio alla perdita in termini di Pil nominale a seguito del lockdown: con una ripresa economica, ci aspetteremmo (si spera) di vedere l’inflazione tornare al proprio livello del 2%, mentre il Pil nominale non avrebbe ancora recuperato i livelli pre-crisi.
La Fed, dopo aver raggiunto il proprio obiettivo di inflazione al 2%, cercherebbe quindi di inasprire la politica monetaria ben prima del recupero in termini di Pil nominale. L’economia deve riscaldarsi per innescare quel recupero necessario a colmare il gap creato dalla crisi. È necessaria una politica di “recupero” che forse richiede l’individuazione di un target in termini di livello nominale del Pil permettendo forse all’inflazione di superare per un certo periodo la soglia del 2%.
Più in generale, forse questo richiede un obiettivo di inflazione asimmetrico che riformuli le aspettative di inflazione a un livello “medio” piuttosto che su un obiettivo specifico per un determinato momento.
In ogni caso, l’idea è quella di dare alla ripresa economica la possibilità di ritornare sul proprio percorso pre-recessione, piuttosto che frenare potenzialmente sul nascere questo percorso perché un obiettivo di inflazione del 2% venga raggiunto quanto prima.
Cambiano anche le indicazioni di politica monetaria
L’altro argomento degno di nota è la forward guidance. Un’inflazione molto bassa significa che anche i tassi d’interesse rimarranno probabilmente bassi. E dato il livello dei tassi d’interesse nominali che oggi continuano a calare verso lo zero, diminuisce anche l’efficacia di ulteriori tagli dei tassi per contribuire a stimolare la crescita economica.
Di conseguenza, il tradizionale kit di strumenti a disposizione della Fed deve cambiare. Quando il tasso dei Fed funds si è avvicinato al limite più basso durante la crisi finanziaria globale, la Fed ha cambiato marcia e ha iniziato a utilizzare nuovi strumenti: acquisti su larga scala di Treasury e di titoli ipotecari garantiti dal governo, insieme a dichiarazioni sull’evoluzione dei tassi di interesse a breve termine.
Il primo è stato un allentamento quantitativo, il secondo una forward guidance. Entrambe miravano a mettere un freno ai tassi di interesse a lungo termine.
Sembra che la Fed dovrà fare molto di più affidamento sull’allentamento quantitativo e sulla forward guidance come leva fondamentale della politica monetaria, ma l’idea di basarsi sulla forward guidance sembra essere l’argomento più pertinente di questa settimana. Ci potrebbero essere due modi per affrontare il rafforzamento di questo strumento: uno è una forward guidance basata sui dati in cui la Fed afferma semplicemente che i tassi di non saranno aumentati almeno fino alla fine del 2020, ad esempio. Naturalmente questo potrebbe essere troppo specifico per cui potrebbe essere sufficiente una formula come “i tassi non saranno incrementati per un lungo periodo”. Il punto è che il linguaggio implica che i tassi non si muoveranno per un certo periodo di tempo.
L’altra opzione è basata sul risultato, in cui la Fed delinea criteri specifici che devono essere soddisfatti prima che i tassi possano essere rivisti al rialzo. Ciò potrebbe comportare un obiettivo in termini di livello di Pil nominale, un livello specifico di occupazione o di disoccupazione.
Oppure, come detto in precedenza, un tasso medio di inflazione. Anche in questo caso, la definizione di obiettivi economici specifici potrebbe essere un altro cambiamento in termini di gestione di tale forward guidance.
E nel tentativo di aumentarne la credibilità basata sui risultati, la Fed potrebbe anche utilizzare una versione di Yield Curve Control o Yield Curve Caps. In parole povere, se i tassi trainati dal mercato cominciassero a salire, indicando che gli investitori stanno mettendo in dubbio la credibilità della Fed nel rispettare gli obiettivi preannunciati (il che potrebbe portare a un inasprimento prematuro della politica monetaria nel bel mezzo di una ripresa nascente), la Fed potrebbe intervenire sui mercati attraverso l’acquisto di asset per riportare i tassi all’obiettivo dichiarato.
Da qui il termine “limiti massimo dei tassi d’interesse”. Ciò aggiungerebbe un ulteriore livello di credibilità ed efficacia a qualsiasi cambiamento di una forward guidance basata sui risultati.