Società

Dimon: Coronavirus sia occasione per affrontare il problema della disuguaglianza

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Alle file di chi prevede un cambiamento nel modello economico dominante, in seguito alla crisi coronavirus, si è aggiunto anche il banchiere più famoso d’America.

Jamie Dimon, ceo di JP Morgan ha affermato, infatti, che “questa crisi deve essere un campanello d’allarme e un invito all’azione affinché le imprese e il governo pensino, agiscano e investano per il bene comune e affrontino gli ostacoli strutturali che hanno inibito per anni una crescita economica inclusiva“. Dimon ha affidato questi pensieri a una nota inviata allo staff della banca, a ridosso dell’incontro annuale con gli azionisti, ha riferito il Financial Times.

“Gli ultimi mesi hanno messo a nudo la realtà che, anche prima del colpo sferrato dalla pandemia, troppe persone vivevano al limite”, ha affermato Dimon. Negli Stati Uniti ben 36,6 milioni di persone hanno chiesto un sussidio di disoccupazione in seguito alla diffusione del Covid-19. Secondo Dimon la crisi coronavirus imporrà, dunque, una rinnovata attenzione “a quelle persone lasciate indietro troppo a lungo”.

Se prima il problema posto dalla disuguaglianza poteva essere rimandato (nonostante i vari appelli delle istituzioni internazionali come il Fmi), ora che una fetta consistente della popolazione globale rischia di non disporre più di redditi sufficienti a far muovere l’economia la questione distributiva si è resa fondamentale per la ripresa e forse per la sostenibilità stessa del sistema.

Per quanto riguarda JP Morgan, ha fatto sapere il ceo, il sentimento di solidarietà si è tradotto in estensioni per i pagamenti e gli sgravi di interessi che hanno riguardato 1,5 milioni di titolari di conti. Dimon ha fatto sapere che “condividerà presto più idee” su come raggiungere nel concreto l’obiettivo di una crescita più inclusiva.

Anche la presidente della Bce, Christine Lagarde, ha riportato al centro il tema dell’equità nel corso della sua ultima intervista affermando che “le diseguaglianze sono un pericolo” e che “la globalizzazione dev’essere più rispettosa della persona umana”.