Jobs Act, Grande Fratello in azienda. Garante privacy dice “no a controlli invasivi”
ROMA (WSI) – No a controlli invasivi, ma garanzie. E’ stato chiaro Antonello Soro, presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, nella relazione alla Camera, riferendosi alla bufera esplosa sul Jobs Act, in merito alla possibilità di controllare a distanza i lavoratori attraverso strumenti tecnologici.
“Nei rapporti di lavoro il crescente ricorso alle tecnologie nell’organizzazione aziendale, i diffusi sistemi di geolocalizzazione e telecamere intelligenti hanno sfumato la linea – un tempo netta – tra vita privata e lavorativa. E’ auspicabile che il decreto legislativo all’esame delle Camere sappia ordinare i cambiamenti resi possibili dalle innovazioni in una cornice di garanzie che impediscano forme ingiustificate e invasive di controllo, nel rispetto della delega e dei vincoli della legislazione europea”, ha detto il Garante della privacy.
Monito dunque anche da parte di Soro riguardo al decreto attuativo del Jobs Act, che – di fatto – cancella l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori sui controlli a distanza.
“Un più profondo monitoraggio di impianti e strumenti – continua Soro – non deve tradursi in una indebita profilazione delle persone che lavorano. Occorre sempre di più coniugare l’esigenza di efficienza delle imprese con la tutela dei diritti: obiettivo che ha ispirato tutte le decisioni dell’Autorità nelle numerose verifiche preliminari nonché nelle linee guida in materia di biometria”.
Al monito di Soro si contrappone l’immediata risposta del ministro delle Riforme e per i Rapporti con il parlamento, maria Elena Boschi, secondo cui esiste “già un equilibrio tra diritto alla riservatezza dei lavoratori e la modernizzazione della disciplina giuslavoristica alla luce dei nuovi strumenti tecnologici di lavoro, ma se nei pareri che verranno dati dalle Commissioni ci saranno ulteriori suggerimenti li prenderemo in considerazione come abbiamo sempre fatto”.
Secondo Boschi il Garante per la Privacy “si è limitato ad auspicare che ci sia il giusto euilibrio che il governo ha ben presente e che ha tenuto presente intervenendo tra il diritto alla riservatezza dei lavoratori e la modernizzazione della disciplina giuslavoristica alla luce dei nostri strumenti tecnologici di lavoro che oggi fanno parte della quotidianità di tanti lavoratori”.
E lo stesso ministero del Lavoro sottolinea che, riguardo ai controlli a distanza,
“si adegua la disciplina vigente alle innovazioni tecnologiche, nel rispetto delle indicazioni del Garante della Privacy”.
Le norme sugli impianti audiovisivi e gli altri strumenti di controllo, “contenute nello schema di decreto legislativo in materia di semplificazioni attualmente all’esame delle competenti commissioni parlamentari, adeguano la disciplina oggi vigente, risalente al 1970, alle innovazioni da allora intervenute, rispettando le indicazioni che il Garante della Privacy ha fornito negli ultimi anni, in particolare con le linee guida del 2007 sull`utilizzo della posta elettronica e di internet”.
Ancora il Ministero: “Per quanto riguarda gli strumenti che vengono assegnati al lavoratore per rendere la prestazione lavorativa (quali cellulari, tablet e pc) non si autorizza nessun controllo a distanza, ma si chiariscono semplicemente le modalità e i limiti per l`utilizzo di questi strumenti e dei dati raccolti attraverso di essi”.
Se il governo quasi non nota l’avvertimento del Garante della Privacy, Giovanni Barozzino, capogruppo SEL in commissione Lavoro, parla di bocciatura. “Bene ha fatto il Garante della Privacy a denunciare i pericoli presenti nell’articolo 23 dello schema di decreto legislativo sulla semplificazione delle procedure in materia di rapporto di lavoro, ora all’attenzione del Parlamento”.
“Con questa norma si abroga l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori e si dà facoltà all’impresa di controllare con strumenti elettronici la prestazione del singolo lavoratore, una vigilanza che avverrà con il videocontrollo ma anche con la generalizzazione dell’uso delle cosiddette “tecnologie indossabili”. Gli ordini al lavoratore arriveranno su un display collocato sull’orologio che è obbligato a tenere al polso. Lo smartwatch che permetterà al datore di lavoro non solo di assegnare compiti secondo frequenze e velocità discrezionalmente decise, ma anche di controllare se il lavoratore sta facendo o meno una pausa autorizzata poiché nell’orologio è collocato un geolocalizzatore che permette di conoscere il luogo ove si trova esattamente lo stesso lavoratore. Già oggi in parte avviene con l’uso degli smartphone che molte aziende stanno imponendo a tanti lavoratori perlopiù manutentori e installatori. Il microchip che Fincantieri intenderebbe collocare nelle scarpe antinfortunistiche dei propri dipendenti ha la stessa finalità, il tutto in spregio della raccomandazione del Consiglio d’Europa che fa divieto dell’uso sui lavoratori di questi strumenti in nome del principio liberale del rispetto della persona”.
E il Fatto Quotidiano riporta l’allarme sindacati dei lavoratori atipici, Nidil Cgil, Felsa Cisl e Uiltemp Uil: “Mentre la contestatissima norma del Jobs Act che consente di controllare i dipendenti tramite videoterminali o altri dispositivi di geolocalizzazione deve ancora entrare in vigore, c’è qualcuno che purtroppo ha già precorso i tempi in tal senso. Si tratta di Manpower e del sito Expo”.
La polemica prende di mira una APP per smartphone, Peoplelink che permette all’azienda, come scrive il quotidiano, sia attraverso la mail personale del dipendente che con il GPS, di rilevare la presenza del lavoratore nel sito. Da parte sua, l’agenzia interinale sostiene di agire secondo la legge e di non “spiare” i dipendenti durante la loro attività lavorativa, aggiungendo di essere disposta a incontrare i sindacati.
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