*Paolo Madron e’ il Direttore di Panorama Economy.
(WSI) – John Elkann si sposa. Tanti auguri. Le cronache di questi giorni, oltre
a raccontarci della lista nozze alla Rinascente, ci confermano che un
giorno sarà lui a diventare presidente della Fiat (oggi è il vice, ma al
Lingotto, dove i simboli contano, occupa già l’ufficio che fu del
nonno), una volta che i suoi «tutori» ne avranno completato il tirocinio
all’incarico.
Presto, a giudicare da una recente intervista al New York
Times in cui Luca di Montezemolo ne ha intessuto le lodi e dalle
impressioni di altri manager della casa torinese che hanno avuto
occasione di apprezzarne le doti. Raccontano che il ragazzo è timido ma
determinato e, a differenza del simpatico fratello, ha un profilo
discreto che sembra preservarlo da gossip (salvo quelli involontari),
giovani attrici e tatuaggi.
In più, come fu per Gianni, gli piacciono le
frequentazioni d’oltralpe, quella jet society internazionale che ha
avuto un ruolo determinante nella mitizzazione mediatica dell’Avvocato e
in New York e Parigi i luoghi della sua consacrazione a potente della
Terra. Lui, com’è noto, aveva per il nipote una predilezione
particolare, e anche uno spiccato senso di protezione che lo teneva al
riparo dai comprensibili appetiti di chi voleva saperne di più.
Qualche
anno fa, in una delle prime e rare uscite pubbliche di John – era la
presentazione dello sbarco su Internet della casa torinese – un discreto
quanto inflessibile marcamento dell’ufficio stampa impedì ogni contatto.
Inutile chiedere interviste, men che meno la possibilità di un approccio
informale giusto per farsi un’idea del personaggio.
Allora però l’investitura a leader della famiglia non era ancora
esplicita, tanto meno l’Avvocato – come poi avvenne – lo aveva nominato
materialmente suo erede, e tra i rampolli della dinastia era solo quello
che più lasciava ben sperare.
Adesso invece che, banche permettendo, la
designazione è esplicita, ci piacerebbe se il futuro presidente della
Fiat rompesse il riserbo che, per indole propria o suggerimento di
qualcuno, si è imposto. È vero, l’esempio del nonno entrato tardi in
azienda gli dà il diritto a non gettarsi frettolosamente nella mischia.
In fondo fu solo a 45 anni che Gianni trovò il coraggio di dire a
Valletta in cerca di un successore che il presidente avrebbe voluto
farlo lui. Ma i tempi sono diversi, non c’è più l’uomo della provvidenza
che può surrogare la naturale ritrosia degli Agnelli a gestire
l’azienda, oltre al fatto che John non è un neofita visto che ne calca
da tempo i corridoi.
Diversamente, il rischio è duplice: da una parte quello di essere
immortalato nell’icona dell’eterno ragazzo, serio e dai modi così per
bene, su cui pesa la contraddizione di vivere in un mondo di ovatta con
addosso l’etichetta pesante di leader di una dinastia industriale su cui
incombe la minaccia di estinzione. Dall’altra quello di soggiacere
all’effetto Savoia, assecondando suo malgrado quel ruolo di patinato e
insipido bamboccio che i media gli stanno implacabilmente cucendo
addosso.
Invece, da chi si appresta a guidare il più blasonato gruppo industriale
del Paese, ci si aspetta un punto di vista forte sul mondo. Quello i cui
confini finiscono ai cancelli del Lingotto (lo stato dell’auto e le
terapie per rimediarne la crisi, la competizione nel settore e il
prevedibile autunno caldo nel rapporto con i sindacati) ma anche quello
che li oltrepassa. In fondo il presidente della Fiat, come potrebbe
ricordargli suo nonno, è titolato a parlare e a essere ascoltato su
tutto.
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