Non è stato scritto per piacere agli europei, il documento in cui George Bush illustra la strategia mondiale per la sicurezza degli Usa.
E’ la più drastica revisione della dottrina americana dall’avvento dell’atomica e di Harry Truman. E’ l’addio definitivo a ogni oscillazione clintoniana tra riconoscimento del multilateralismo e uso della forza ma solo in funzione reattiva.
Si fonda sul riconoscimento oggettivo che la forza e influenza americana non ha oggi – e non avrà per molto tempo – alcuna potenza che possa reggere a paragone. E afferma che per affrontare il terrorismo gli Stati Uniti sono pronti a colpire anche da soli, anche per primi, individuando e neutralizzando la minaccia laddove si trova.
“Gli Stati Uniti sono in guerra”, è la dichiarazione che apre il capitolo dedicato alla lotta al terrorismo. E’ questo il discrimine che i detrattori di questa presidenza esecreranno, tacciando il documento di unilateralismo e rozzo culto della forza.
L’America è in guerra, ripete Bush. L’Europa crede invece che la dichiarerà Kofi Annan. Noi siamo in guerra, dice il comandante delle forze americane. Chi condivide i nostri valori, se lo vorrà, lo è insieme a noi.
E per questa guerra l’intera difesa Usa, lo strumento militare esterno e quello di sicurezza interna, va completamente “trasformato”, per affrontare una minaccia che nulla ha a che vedere con le crisi del mondo uscito dal trattato di Westfalia (1648).
Contro il terrorismo non si fa guerra, non si fa diplomazia, non si fa politica dello sviluppo come si affrontavano i conflitti e gli equilibri tra Stati.
La libertà americana indivisibile e proiettata sull’intero pianeta che emerge dal documento e dalla sua brutale retorica non piacerà a chi nella dottrina Bush intravede tentazione egemonica e verbo omologante.
A chi accuserà il presidente americano di dedicare all’Europa tre righe generiche e alla Nato un’attenzione maliziosa. Ma i paragrafi interi dedicati ai tre giganti in evoluzione, Russia, Cina e India, le analisi riservate ad Africa e Asia, il rilancio su altre basi di istituzioni come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, testimoniano che l’offerta di partnership americana nel mondo è molto più ampia e leale di quanto possa apparire dalla sola teoria del first strike unilaterale.
La mutua distruzione nucleare minacciata, al cui riparo abbiamo lucrato pace e benessere per 45 anni mentre l’Est era schiacciato dal tallone di ferro sovietico, era molto più luciferina rispetto a questo progetto di leadership nutrito di una effettiva responsabilità globale.
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