New York – L’Ecuador e’ finito sotto i riflettori per il caso Assange, il fondatore di WikiLeaks cui e’ stato concesso l’asilo politico, impedendone l’estradizione in Svezia, dov’e’ accusato di violenze sessuali, e Stati Uniti, che starebbe lavorando gia’ da un anno per incriminare Assange di spionaggio.
Rafael Correa, presidente della Repubblica e giovane leader del fronte della sinistra sudamericana, ha tutto l’interesse a giocare la carta Assange in vista delle elezioni 2013, alle quali vorrebbe ricandidarsi come presidente. Ma prima, dall’alto delle sue conoscenze in materia economica – e’ stato anche ministro dell’Economia – dovrebbe preoccuparsi di un altro problema, piu’ interno, che rischia di rivelarsi decisivo per il futuro della sua nazione.
L’incremento costante del debito che l’Ecuador sta accumulando nei confronti della Cina, al momento pari a oltre 7 miliardi di dollari, e le ultime rivelazioni riguardanti i termini con i quali i prestiti sono stati concessi, ha alimentato i timori di un’erosione della sovranita’ del paese sudamericano.
Lo stato ecuadoriano ha incominciato nel luglio del 2009 a ricevere finanziamenti da Pechino in cambio dell’offerta di barili carichi di petrolio. Il primo accordo stretto era del valore di 1 miliardo di dollari, in cambio di 69,1 milioni di barili di greggio.
I tassi di interesse sono stati fissati al 7,25% nell’arco di due anni. Nell’agosto del 2010 36 mila barili di oro nero al giorno sono stati assicurati ai cinesi, in cambio di un altro miliardo di dollari, questa volta a un tasso del 6% spalmato su quattro anni. A febbraio 2011, infine, la vendita di 69,1 milioni di barili di petrolio e’ stata rinnovata, in cambio di prestiti con un interesse del 7,09% in due anni, e nel giugno dello stesso anno una linea di credito di 2 miliardi e’ stata concessa in camio della consegna di 130 milioni di barili di petorlio in sei anni.
Due dei maggiori progetti di infrastrutture idroelettriche del paese (Coca-Codo-Sinclair e Sopladora) sono stati finanziati grazie ai soldi arrivati dalla Cina. Sebbene questo denaro non sia stato garantito da esportazioni di greggio, l’Ecuador si e’ impegnato a utilizzare solo contractor cinesi per costruire gli impianti. Il valore complessivo dei due prestiti ammonta a 2 miliardi e 250 milioni di dollari Usa.
I tassi di interesse sono indubbiamente molto alti, ma sono gli obblighi e gli impegni presi da Quito a preoccupare maggiormente gli ecuadoriani.
La concentrazione del debito in una singola entita’ e la mancanza di trasparenza riguardante i dettagli specifici dell’intesa (i contratti non sono infatti resi noti pubblicamente) sta incominciando a fare tremare i contribuenti.
Ad alimentare le critiche e i timori e’ stata poi una lettera firmata dai gruppi Petroecuador e Petrochina nel 2009. Nel documento di intenti si legge chiaramente che Petrochina ha l’autorita’ di confiscare il petrolio dai clienti internazionali dell’Ecuador se il paese non dovesse farcela a ripagare il debito. Petroecuador sostiene che l’accordo sia in linea con la costituzione e non coinvolga asset statali ecuadoriani.
Tuttavia ha creato un pericoloso precedente di cessione a una potenza straniera dei diritti e della sovranita’ dell’Ecuador, che tanto fa affidamento sui propri asset e risorse strategiche per sostentare.