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(WSI) – La decisione della Federal Reserve di abbassare i tassi d’interesse Usa al 4.5 per cento si inserisce in un quadro di grande incertezza dell’economia americana. Ma avrà probabilmente i suoi effetti più importanti fuori dagli Stati Uniti, sui tassi di cambio e sull’economia europea. La situazione dell’economia reale americana è di difficile lettura. Da un lato, la crescita dell’ultimo trimestre è stata superiore alle aspettative, grazie a una tenuta dei consumi. Da un altro lato, i problemi legati alla crisi americana dei mutui, scoppiati improvvisamente in estate, fanno temere un rischio di recessione negli Stati Uniti. Molte banche americane sono in tempesta. Merrill Lynch, dopo aver annunciato grandi perdite ha licenziato l’amministratore delegato O’Neal. Simile sorte potrebbe toccare al numero uno di Citigroup, il più grande gruppo mondiale del credito.
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La maggior parte degli economisti si aspetta una brusca caduta della crescita americana nell’ultimo trimestre dell’anno. L’indice di fiducia dei consumatori ha toccato lunedì il più basso livello da due anni, e due americani su tre sono ormai convinti che una vera recessione sia alle porte. I prezzi delle abitazioni hanno registrato nell’ultimo mese la maggior caduta in 16 anni e il settore residenziale è in forte contrazione. Con la diminuzione del prezzo delle case, molti risparmiatori americani finiranno per avere un mutuo superiore al valore della casa, con conseguenze preoccupanti sulla loro capacità di spesa, il vero motore dell’economia americana.
In questo scenario, la decisione della Federal Reserve, che segue un altro taglio dei tassi a settembre, appare come una chiusura della stalla quando i buoi sono scappati. La crisi dei mutui di oggi deriva in grossa parte dalla politica monetaria dei bassi tassi di interesse di inizio decennio, una politica monetaria fortemente voluta da Alan Greenspan, e troppo a lungo accettata dal suo successore oggi al comando, Ben Bernanke. L’eredità della politica dei bassi tassi di interesse di quegli anni non la troviamo nell’inflazione di oggi, ma la troviamo invece nella crisi dei mutui. Uscire da una crisi del credito è forse ancora più difficile che uscire da una potenziale spirale inflazionista. Il controverso tentativo di salvataggio dei mutui americani attraverso la creazione di un super fondo di 100 miliardi di dollari non sembra vedere la luce in fretta; non vi sono facili soluzioni e dovremo quindi aspettarci ulteriori perdite nei bilanci delle banche.
In Europa la crisi dei mutui è fortunatamente molto meno seria. La preoccupazione di questi giorni riguarda invece il tasso di cambio dell’euro, che lunedì ha raggiunto la quotazione record di 1.44 dollari per euro. In molti capitali europee vi sono lamentele più o meno ufficiali su un tasso di cambio euro dollaro che già oggi penalizza troppo gli esportatori europei, la parte più dinamica e virtuosa del vecchio continente. La decisione di ieri della Federal Reserve di abbassare i tassi americani, riducendo gli interessi sui titoli denominati in dollari, potrebbe ulteriormente indebolire il tasso di cambio del dollaro, come testimoniato dall’immediato balzo del tasso di cambio verso 1,45 pochi minuti dopo l’annuncio della Federal Reserve. Nelle prossime settimane, la dinamica dei tassi di cambio dipenderà molto dalla reazione dell’Asia, dove le banche centrali detengono ingenti quantità di titoli americani. Ad ogni modo, la decisione di ieri finirà per avere più effetti sull’economia europea che su quella americana, dove è ormai forse troppo tardi per invertire il rischio di recessione. È un ulteriore paradosso della globalizzazione economica e finanziaria.
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