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È l’ora di una nuova agenda di riforme

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ROMA (WSI) – Con la decadenza dal Senato del tre volte premier Silvio Berlusconi e l’uscita del gruppo parlamentare di Forza Italia dalla maggioranza, il gabinetto dei ministri è ora blindato, con Letta che si è assicurato una certa continuità di governo.

Approfittando della presidenza italiana all’Unione Europea nel 2014, l’esecutivo di larghe intese attuale potrebbe durare anche 18 mesi. L’importante è che non finisca per restare un “governo di servizio”, come è stato definito da alcuni dei suoi stessi ministri, ma che si spinga oltre la riforma della legge elettorale e le timide misure attuate fin qui per mezzo della finanziaria triennale, che non è “recessiva”, ma nemmeno espansiva, secondo gli analisti.

La speranza, insomma, è che la garanzia di avere l’appoggio dei suoi parlamentari non porti il Governo a sedersi sugli allori di una “stabilità politica del cimitero”, come l’ha definita il Wall Street Journal. Anche se la stabilità a Palazzo Chigi ha indiscutibilmente riportato la fiducia dei mercati, con il tasso sui Btp decennale che viaggia intorno al 4% e lo Spread con gli omologhi Bund che vale il 2,3% circa, la paura è paradossalmente che la situazione di comodità possa far saltare le riforme strutturali e fiscali di cui la terza economia dell’area euro ha disperato bisogno.

Tenuto conto che il gruppo parlamentare di Angelino Alfano può contare a mala pena su una cinquantina di parlamentari e che Scelta Civica praticamente non esiste più, il peso delle scelte è tutto sulle spalle del PD. Chi pensa che Letta sia tuttora sotto ricatto, visto che il delfino Alfano ha garantito lealtà al suo mentore Berlusconi, non calcola che gli interessi del Nuovo Centrodestra non sono quelli di far cadere questo esecutivo, ma di restare attaccati alla poltrona fino alle prossime elezioni.

A quel punto, se vorranno, le colombe smarrite potranno tornare al nido, dove verranno accolti a braccia aperte dal tre volte Primo Ministro. Gli ultimi sondaggi danno il Nuovo Centrodestra oltre il 7% e Forza Italia sopra il 20%. I numeri parlano chiaro: con la scissione il centro destra ha registrato un aumento della popolarità e dei consensi. Ma è la rinata formazione del magnate dei media ad averci guadagnato di più.

Allo stesso tempo la coalizione di larghe intese risultate è molto meno eterogenea di prima. Se avesse il coraggio politico, il partito di centro sinistra, il primo d’Italia se si andasse oggi al voto, potrebbe finalmente fare il passo successivo e varare tutta una nuova serie di riforme che chiedono sindacati e industriali. Le parti sociali chiedono di puntare su misure più eque per quanto riguarda la ridistribuzione del reddito e su iniziative più favorevoli alle imprese e ai lavoratori, che osino di più nell’abbattimento del cuneo fiscale. Ma assisteremo davvero a una svolta progressista?

Il programma sul tavolo al momento con il quale il Governo ha incassato la fiducia delle Camere è figlio del ricatto del PdL sull’Imu (la famigerata tassa sulla casa) e su altri punti fondamentali per i falchi di Berlusconi. La componente riformista al potere non può continuare a fare il donatore di sangue e scendere a compromessi. I tempi sono maturi per varare una nuova, necessaria agenda politica.

I margini per cambiare e prendere dei rischi ci sono. Secondo le stime a disposizione al momento la riduzione del costo del lavoro non permetterebbe in media nemmeno di farsi una birra e una pizza in più al mese. Varrebbe infatti 14 euro per i redditi compresi tra i 15 mila e i 20 mila euro l’anno.

Il primo ministro Enrico Letta ha risposto all’appello di sindacati e industriali, promettendo che una parte dei 32 miliardi ricavati dalla spending review (il programma di tagli alla spesa pubblica) saranno usati per diminuire il costo del lavoro. Più che la cancellazione dell’Imu, imposta a tutti gli effetti patrimoniale e non sul reddito, secondo economisti, imprenditori e sindacati è la riduzione del cuneo fiscale la vera misura indispensabile per dare una svolta al Paese. Per trasformare quella che è una manovra “non recessiva”, come la descrive l’associazione degli analisti italiani, in una riforma finalmente “espansiva”, di cui l’Italia ha disperato bisogno dopo due anni di recessione alimentata da misure di austerità pesanti.

Le autorità europee hanno chiesto al Governo modifiche alla manovra che consentano di rispettare gli obiettivi di deficit. Nel valutare le misure della finanziaria non va dimenticata la conseguenza più importante per l’Italia: mantenere il rapporto tra deficit e Pil sotto la soglia del 3% consentirebbe di sbloccare la preziosa clausola per gli investimenti.

“I margini di manovra per uno stimolo fiscale sono limitati e rendono le misure complessivamente poco efficaci dal punto di vista economico”, si legge nel rapporto AIAF sulla finanziaria. L’esiguità degli interventi di stimolo per la crescita è giustificata dalla “entità limitata dei tagli alla spesa”, che gli analisti si augurano sia solo temporanea in attesa di conoscere i contenuti della Spending Review curata dal Commissario ex Fmi Carlo Cottarellli.

L’entità dello stimolo per la crescita che il disegno di legge offre per il prossimo anno è molto modesta. AIAF calcola un beneficio netto per il 2014 di 3 miliardi di euro, pari a circa lo 0,2% del Pil. Il “provvedimento maggiormente significativo dal punto di vista dell’effetto potenzialmente espansivo sulla crescita economica è quello della riduzione del cuneo fiscale”, ma “la sua portata è abbastanza limitata”. Il beneficio fiscale modesto rende irrilevante anche fare una stima dell’impatto sul Pil.

Ciononostante i consulenti finanziari di AIAF ipotizzano una propensione al consumo particolarmente elevata l’anno prossimo. L’ipotesi circolata di limitare alle classi di reddito più basse la riduzione del cuneo fiscale, se realizzata tramite lo strumento delle detrazioni per il lavoro dipendente, avrebbe un impatto probabilmente superiore. Per Letta si tratta di sfruttare il momento propizio.

Per contattare l’autore tweet @neroarcobaleno; daniele@wallstreetitalia.com