Roma (WSI) – Una volta era considerato il bene rifugio per eccellenza. Adesso è stato travolto da un’ondata ribassista che ha scottato anche quelli che si professano guru di Borsa da una vita. Neanche l’investimento in oro è più quello di una volta.
Il calo a doppia cifra è lì a testimoniarlo: da agosto 2011 la lancetta della sua appetibilità segna un -20%. Per chi preferisce indicazioni più chiare e semplici: il metallo giallo quota ai minimi degli ultimi due anni e si trova ormai in un mercato orso.
Alcuni broker sono convinti che l’oro scenderà ancora, rimanendo sotto la soglia dei 1400 dollari l’oncia. Una cattiva notizia? Cosa significa questa flessione?
Secondo l’esperto di mercato Joe Wisenthal, il tonfo del metallo prezioso dovrebbe essere interpretato in chiave positiva.
Almeno per chi vuole puntare sull’azionario. Alla base di tutto ci sono infattu strategie di investimento che sono basate su precise ideologie. Da una parte, chi crede nel valore delle azioni, crede anche che il governo abbia gli strumenti per fronteggiare le crisi. Questi strumenti sono un mix di politiche espansive sia sul fronte monetario che su quello fiscale (con conseguente balzo degli asset della Fed, così come sta avvenendo).
Dall’altro lato, molti sono i critici che non mancano di accusare economisti e banche centrali, affermando che le diverse acrobazie economiche che stanno mettendo in atto da anni – il riferimento è agli Stati Uniti – alla fine causeranno iper-inflazione, svalutazione del dollaro, collasso economico, perdita del potere di acquisto e una esplosione dei prezzi dell’oro.
Si tratta dei critici delle maxi iniezioni di liquidità che sono state operate dalla Fed, di coloro che ritengono che i vari quantitative easing porteranno o a una trappola della liquidità o, prima o poi, si tradurranno in una tale esplosione di debito e di deficit che alla fine l’unica soluzione sarà rifugiarsi nell’oro.
Insomma, investire nell’oro da un punto di vista ideologico significa ribellarsi contro le scelte della Fed e contro la finanza; ed è credere che sia preferibile investire in qualcosa che esiste in natura piuttosto che puntare sui titoli azionari, creati dall’uomo.
L’oro ha infatti raggiunto i suoi massimi, performando meglio dei titoli azionari, a partire dal 2000; quell’anno rappresenta il momento in cui la fiducia sulle capacità dell’uomo raggiunse il massimo.
Quella fiducia venne poi tradita dalla esplosione della bolla Internet, dall’11 settembre, dalle guerre in Iraq e in Afghanistan, dalla crisi finanziaria, da una recessione orribile; e, ancora, dalla crisi dei debiti europei e dai timori di default.
In questo contesto, il crash dell’oro – che è in perdita da parecchio tempo – potrebbe forse ideologicamente segnare l’inizio di una nuova era e il ritorno della fiducia negli uomini, dunque nei listini azionari da essi creati.
Negli ultimi mesi, infatti, in concomitanza con il venir meno dell’appeal dell’oro si è concretizzata davvero una ripresa dei corsi azionari.