A cura di Patrick Zweifel, Chief Economist di Pictet
L’efficacia dello stimolo governativo ha trasformato la Cina dall’essere una minaccia per la salute dell’economia mondiale a diventare una forza stabilizzatrice.
Gli Stati Uniti sono attanagliati dai timori di una recessione, mentre il settore manifatturiero tedesco continua a contrarsi. Nonostante le nubi sull’economia globale, emerge un posto soleggiato, la Cina. Nel giro di pochi mesi, la potenza asiatica si è trasformata: dall’essere una seria minaccia alla stabilità economica del mondo ne è diventata la salvezza. E, stranamente, questo spostamento è il risultato indiretto di un problema che poteva seriamente danneggiare la Cina, ovvero le sanzioni commerciali imposte dagli Stati Uniti.
Dall’inizio del 2018, l’amministrazione Trump ha imposto sanzioni sulle merci cinesi per un totale di 250 miliardi di dollari. Secondo i nostri calcoli, ciò equivale a un’incidenza dello 0,3% sul PIL cinese, che potenzialmente potrebbe arrivare all’1% se la controversia si dovesse inasprire.
L’impatto della Cina sulla crescita mondiale
Essenzialmente, le autorità cinesi hanno reagito in modo prudente e puntuale. Le sanzioni hanno indotto Pechino ad accelerare le riforme e a disporre misure di stimolo, compresi tagli fiscali, spesa per le infrastrutture e allentamento monetario, per un valore di 2800 miliardi di renminbi (si veda il grafico). La nostra analisi indica che circa un terzo di tale importo dovrebbe tradursi in crescita economica, l’equivalente di una spinta annua di circa 0,3 – 0,5% per i prossimi due anni.
Questo atteggiamento proattivo sta dando buoni risultati, di buon auspicio per gli attivi cinesi, oltre che per i mercati emergenti, più in generale. Abbiamo già assistito a un’inversione di tendenza nella crescita del credito, nella produzione industriale e negli investimenti negli attivi fissi (si veda la Fig. 2). Il rimbalzo della spesa per le infrastrutture è stato particolarmente robusto, finanziato da un’emissione speciale di obbligazioni di Stato locali.
Essenzialmente, la recente riunione del National People’s Congress (NPC) ha preso atto di questo rallentamento strutturale rivedendo al ribasso il suo obiettivo di crescita al 6,0 – 6,5% dal 6,5%. L’intervallo è in linea con le nostre previsioni per quest’anno e con il consenso di mercato.
E indica che la Cina riconosce la tendenza strutturale di una crescita in graduale rallentamento, di pari passo con la riduzione della leva finanziaria, che a sua volta ci fa ben sperare che il governo non offrirà uno stimolo eccessivo all’economia, con provvedimenti anti-ciclici.
Data la dimensione dell’economia cinese, la sua attuale maggiore stabilità offre una potente compensazione al rallentamento degli Stati Uniti e dell’eurozona. La Cina ha contribuito per più di un terzo alla crescita economica mondiale nel 2018 e, quest’anno, prevediamo che la sua quota sia destinata ad aumentare. La potenza asiatica è tornata; questa dovrebbe essere una buona notizia per gli attivi dei mercati emergenti in generale e per quelli cinesi in particolare.