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(WSI) –
Ieri è scaduto il termine per il diritto di voto all’assemblea di Telecom. Chi ha comprato azioni dopo tale data non può più votare e quindi influire sul futuro della società, nella aspra battaglia in corso. Ma nel frattempo sono stati venduti in Borsa più del 20 per cento dei titoli di Telecom Italia. Quasi un terzo del flottante reale. E poiché Olimpia controlla Telecom Italia col 18 per cento delle azioni, e in Borsa ne è stato acquistato un importo superiore, si potrebbe pensare che oramai qualcuno abbia un pacco maggiore di quello di Olimpia, cui danno la caccia industriali americani, e cordate finanziarie italiane simpatiche al governo.
Ciò vale, in particolare, per Mediobanca e Assicurazioni Generali che avevano rispettivamente l’1,54 e il 4,06 per cento e sono stretti da un patto di consultazione con Olimpia. Vale anche per Hopa un tempo socio della maggioranza attuale di Olimpia che ha un altro 3,72 e per Intesa Sanpaolo, leader del gruppo che mira a transennare gli americani in difesa dell’italianità di Telecom.
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Ma alla domanda della Consob, apparentemente rivolta a fare chiarezza, se ci fossero variazioni nelle loro partecipazioni o nuove partecipazioni del 2 per cento o più (per cui vi è obbligo di denuncia), Mediobanca, Generali e Hopa hanno dichiarato che le loro partecipazioni sono invariate. Né Intesa, né nessun altro ha comunicato variazioni (salvo l’americana Brandes equity che aveva il 3,6 e s’è riservata di comunicare l’entità della modifica).
Si tratta però di risposte rese molto facili dal modo assai comodo con cui la Consob ha voluto porre la domanda. Infatti chi abbia fatto comperare pacchetti di azioni Telecom per importi di poco inferiori al 2 per cento da fondi amici e partner finanziari in vari modi collegati – anche se non formalmente controllati – ha potuto correttamente rispondere che le sue quote sono invariate o che non ha nessuna quota che arrivi al 2 per cento.
La Consob per fare chiarezza vera avrebbe dovuto estendere la domanda alla somma delle partecipazioni indirette e a quelle suscettibili di controllo. Se un professore di storia decide di dare dieci a uno scolaro che gli è simpatico, gli può sempre chiedere il nome di Garibaldi.
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