Poco di positivo è stato riconosciuto nella crisi diplomatica fra Francia e Italia. La rottura dei “buoni rapporti” fra due Paesi, da tempo alleati nella comune sfida europea, è stata letta generalmente come un segno di decadenza della politica. In vista delle elezioni europee, infatti, tanto Macron, quanto Salvini e Di Maio, sembrano intenzionati a sfruttare i reciproci errori per trarre un guadagno dalle urne. Il ministero degli Esteri francese lo ha dichiarato senza mezzi termini: il governo italiano, dopo le accuse di neocolonialismo e la visita ai leader estremisti dei gilet gialli, “manipola la relazione” fra Francia e Italia “per fini elettorali”.
Una voce autorevole, però, sostiene che questo confronto netto fra Francia e Italia rappresenti un passo avanti nel modo in cui vengono affrontate le questioni europee. Si tratta di Alberto Alemanno, giurista esperto di diritto comunitario e, fra le altre cose, ex assistente di Enzo Moavero Milanesi (ora ministro degli Esteri) presso la Corte di giustizia Ue.
Accusare un altro stato membro delle sue responsabilità (nel caso francese sui migranti o sulla politica estera) anziché puntare il dito contro la politica amorfa di Bruxelles, avrebbe il vantaggio di sollecitare l’attenzione verso i veri centri di potere decisionale in Europa.
“Uno dei meriti dei leader nazionali che prestano maggiore attenzione agli affari interni dei loro vicini risiede nel fatto che ciò distoglie l’attenzione da Bruxelles, i cui ‘burocrati senza volto’ sono ancora troppo facilmente i capri espiatori per i mali del continente, e spostano il focus Ue là dove risiedono le vere responsabilità: le capitali nazionali”, ha scritto Alemanno in una column pubblicata su Politico.
“Il richiamo di un politico verso un altro leader dell’Ue, criticato per un comportamento che ritengono discutibile a livello nazionale o a Bruxelles, non dovrebbe essere considerato come un ostacolo all’unità europea. Piuttosto, responsabilizza gli uni e gli altri occhi sia dell’elettorato nazionale che europeo”, ha aggiunto il professore titolare di cattedra Jean Monnet.
In altre parole, considerando che le leve di potere politico restano ancora (prevalentemente) nazionali, allargare l’agone politico a una dialettica aperta fra stati nazionali aiuterebbe questi ultimi a responsabilizzarsi di fronte all’opinione pubblica. Se, al contrario, le frizioni fra Paesi restano riservate e gli attacchi pubblici rivolti solo alla Commissione europea, i cittadini finirebbero sempre col biasimare l’istituzione “sbagliata”. Cioè quella che, nella sostanza, non ha un peso determinante nelle decisioni.