LONDRA (WSI) – A prima vista la ripresa dell’area euro sembra solida. L’azionario corre, la fiducia dei consumatori ha ripreso slancio e l’euro più debole, favorito dal piano di Quantiative Easing della Bce, dovrebbe alimentare la crescita.
Tuttavia, guardando più a fondo i dati e il trend economico, i miglioramenti sono modesti e con ogni probabilità saranno temporanei. A dirlo è Philippe Legrain, senior fellow dell’Università dell’Isituto Europeo della London Scholl of Economics.
Per l’ex consulente economico della Commissione Europea sotto Barroso, la ripresa non è la parola giusta e il miglioramento non è il risultato delle politiche promosse dalla Germania. Nei primi tre mesi del 2015 l’economia cresce al tasso dell’1,6% su base annuale, contro lo 0,9% dell’ultimo trimestre 2014. Ma è poca cosa in confronto a Regno Unito e Stati Uniti e se si pensa che sette anni fa, prima dello scoppio della crisi subprime, era il 2% più alto.
La fase di cali del greggio è ormai giunta al capolinea, con il prezzo che ha recuperato già un terzo del suo valore. L’effetto che ha avuto e sta ancora avendo sui bilanci di famiglie e imprese non deve fare gridare vittoria.
Il 40% dei gruppi esportatori dell’Eurozona, inoltre, fa affari all’interno del blocco a 19. Risultato: solo le grandi imprese e le multinazionali con la maggiore esposizione all’esterno dell’area della moneta unica giovano dell’indebolimento della divisa.
Le autorità politiche contano molto su una moneta più competitiva per sitmolare la crescita, ma rimarranno delusi. Con le esportazioni che fanno sempre più affidamento sulle catene commerciali globali, una moneta più debole offre un aiuto molto più timido rispetto a quanto avveniva prima della grande globalizzazione.
Nel 2014 le esportazioni dall’area euro sono state pari a circa 2 mila miliardi di deuro, più di quelle provenienti dalla Cina. Tenuto conto della fiacca domanda globale, difficilmente l’Eurozona vedrà una rapida crescita delle sue esportazioni.
In tutti i casi, le attività di export valgono solo un quinto dell’economia da 10 mila miliardi di euro dell’area. Anche se fosse, non basterebbero per avere una forte ripresa. Secondo le stime della Bce, la svalutazione del 10% dell’euro nell’ultimo anno dovrebbe alimentare la crescita di appena lo 0,2%.
Anche i benefici che porterà il piano di acquisto di titoli di Stato da 1,1 trilioni di Mario Draghi saranno effimeri. Le regole fiscali dell”UE precludono qualsiasi manovra che possa approfittare del calo dei tassi di interesse.
Il Quantitative Easing migliora le condizioni di finanziamento per alcune società dell’area euro, nello specifico quelle di maggiori dimensioni che possono rivolgersi ai mercati di capitale. Tuttavia persino in Usa e UK, dove i mercati finanziari hanno un ruolo molto più importante, l’inflazione dei prezzi degli asset non ha incoraggiato i consumatori a spendere o le aziende a investire. Le attività creditizie sono ancora scarse.
Tali considerazioni fanno pensare, secondo l’economista, che la ripresa sarà temporanea e che non siamo davanti a un rilancio sostenuto delle attività economiche nella regione. Per superare la recessione, “l’Eurozona ha bisogno di ripulire i bilanci delle banche, ridurre il debito proviato, risolvere il problema della mancanza di investimenti, eliminare le barriere aziendali e l’impatto deflativo del mercantilismo della Germania” e del suo surplus commerciale da record.
“Sono questi i motivi per cui l’area euro non riuscirà a risolvere i suoi problemi così presto” come qualcuno vuole fare credere.
(DaC)