(WSI) – La Banca centrale Usa, per la prima volta da quattro anni, ha aumentato i tassi di interesse. Un piccolo aumento, quello che i mercati si aspettavano e che persino la Casa Bianca, nonostante l’approssimarsi delle elezioni, ha fatto sapere, qualche ora prima che fosse deciso, di ritenere giusto e normale.
La buona congiuntura e qualche tensione dell’inflazione hanno suggerito alla Fed di diffondere in anticipo l’idea che fosse giunto il momento di rialzare il costo del denaro, che non era mai stato così basso negli ultimi 45 anni (ed è ancora negativo al netto dell’inflazione). E’ infatti bene che, nel breve andare, la politica monetaria non sorprenda i mercati, in modo da tenere sotto controllo i prezzi senza destabilizzare l’economia.
Nel medio-lungo periodo rimane però molta incertezza. Una volta sancita la svolta dei tassi, si tratta di stabilire quanto risaliranno, e a quale velocità. Il comunicato con cui la Fed ha accompagnato la decisione afferma, molto ambiguamente, che «lo stimolo monetario verrà rimosso con un ritmo che sarà probabilmente misurato». Lo scenario più favorevole è un aumento graduale dei tassi, nei prossimi 18-24 mesi, di 2,5-3 punti percentuali, che riporti il costo reale del denaro su livelli positivi e normali senza soffocare consumi e investimenti e quindi senza frenare produzione e occupazione.
Non sarà però facile realizzare questo dolce, indolore rientro dell’enorme espansione monetaria realizzata nell’ultimo triennio. La quale non ha prodotto solo il rischio di inflazione. La massiccia liquidità iniettata nei mercati è un problema più generale per l’economia americana e internazionale. E’ difficile, per esempio, sfuggire al dubbio che i prezzi di Borsa, pur non brillantissimi, risultino in qualche misura rigonfiati e minaccino di scivolare all’ingiù quando l’espansione si arresta.
Eccessivi e precari sono stati probabilmente i consumi delle famiglie, alimentati avidamente col credito a buon mercato, e la domanda di abitazioni, i cui prezzi potrebbero restar traumatizzati da un rialzo anche graduale dei tassi. La ricerca di sbocchi per la liquidità sovrabbondante ha anche mantenuto bassi i tassi di interesse a medio-lungo termine: perciò i prezzi delle corrispondenti obbligazioni potrebbero rivelarsi molto fragili.
La facilità di finanziamento ha inoltre incentivato il disavanzo del settore pubblico e, nonostante la svalutazione del dollaro, il deficit e l’indebitamento con l’estero, che in Usa hanno raggiunto livelli preoccupanti. Attraverso la bilancia dei pagamenti l’espansione monetaria americana si è diffusa nel mondo, dando luogo ad eccessi di liquidità, e ai connessi pericoli, anche in Europa e in Asia. Il compito di rientrare, con gradualità e senza danni, è ora complicato.
«E’ tempo di ripensare le politiche, ma la risposta appropriata non è ovvia», dice la bella Relazione della Banca dei Regolamenti Internazionali diffusa lunedì. Occorre comunque che la Fed e le altre principali autorità monetarie abbiano lucidità di vedute, indipendenza dalle miopi convenienze dei politici e disponibilità alla cooperazione internazionale.
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