(WSI) – Da tempo, per uscire dalle secche del declino Luca Cordero di Montezemolo offre uno slogan: «Fare sistema». Che forma abbia il sistema di Montezemolo comincia a essere chiaro: centrista, proporzionale, corrierista.
Dopo l’applaudita epifania in Cgil (con Guglielmo, del resto, il presidente della Fiat vanta un antico feeling), che ha fatto gridare al pericolo inciucista anche Fausto Bertinotti dopo che già Piero Fassino aveva lanciato l’allarme sulle «sirene della Terza via», Montezemolo ha fatto il suo debutto ufficioso a Palazzo presentandosi al vertice dell’Udc nello studio del presidente della Camera Pierferdinando Casini.
L’Udc, del resto, è il vero snodo politico di quello che a sinistra si definisce senza mezzi termini il «partito dei poteri forti», una rete di relazioni trasversale ai poli (metodo Aspen) che tiene insieme politica e finanza passando per la nuova Confindustria (via Tabacci-Letta Enrico), per il governatore di Bankitalia Antonio Fazio (via Casini), per il presidente di Capitalia Cesare Geronzi (via Letta Gianni) e per Cesare Romiti (via Solferino).
Se il partito di Marco Follini, cui non da oggi guarda con grande simpatia anche il presidente della Telecom Marco Tronchetti Provera, è l’epicentro politico, il Corriere della sera è visto dai nemici del neocentrismo come l’house organ neoprop, il prestigioso laboratorio intorno al quale si sperimenta il nuovo asse di potere grazie alle manovre di un Romiti certo ridimensionato come azionista di Rcs, ma dato troppo per presto finito da chi già immaginava un Corriere prodizzato chez Bazoli.
Essendo il sistema montezemoliano post-bipolare, il nuovo Corriere sarebbe invece chiamato a una missione antiprodiana tanto quanto antiberlusconiana (e più in piccolo, come è ovvio dall’elenco dei nomi, antitremontiana). Garante della linea il direttore Stefano Folli, che tiene la barra al centro, mentre cantore della nuova centralità casinian-folliniana è già il terzista Paolo Mieli.
Su sponda ulivista il terminale politico della galassia sarebbe naturalmente il Francesco Rutelli della nuova Margherita neocentrista. Non a caso l’ex sindaco di Roma ha da sempre come interlocutori privilegiati nel centrodestra proprio Letta e Casini. Ma anche il giovane Letta, cui sta sempre più stretta l’etichetta di delfino di Prodi, è pienamente della partita, fino al punto da costituire un caso.
La sua proposta di una manovra bipartisan in vista di un voto anticipato in autunno ha convinto molto poco Arturo Parisi e disorientato un Prodi sempre più preoccupato dalle vicende interne alla Margherita. Ma Letta è deciso a (in)seguire Rutelli su un terreno, la coltivazione del centro moderato, sul quale è convinto di avere le credenziali migliori, anche se né l’uno né l’altro perseguono la loro strategia con lo scopo di attentare alla attuale leadership di Prodi.
Chi ha buoni rapporti con tutti i pezzi del sistema, il vero grande centro, resta però Casini. Ieri presente a un convegno in Campidoglio su Enrico Berlinguer durante il quale Eugenio Scalfari gli ha già attribuito il Quirinale: «È capace, simpatico e intelligente, diventerà presidente con i voti della sinistra e lui lo sa». Il pubblico applaude. Casini sorride. Scalfari chiosa: «Non capisco l’entusiasmo».
Nemmeno Fassino condivide l’entusiasmo, ma ha imposto al suo partito una linea di basso profilo sulle diversioni della Margherita: «Dobbiamo fare come nel novembre del ’44 – ha spiegato il segretario ds ai suoi – quando il generale Alexander comunicò ai partigiani che gli alleati non riuscivano a sfondare la linea gotica e che quindi era meglio congelare l’attività per l’inverno. Longo capovolse l’invito: non smantelliamo niente, voi pensate ad arrivare, che noi vi aspettiamo qui». L’inverno del 2004 si annuncia un po’ più lungo di sessant’anni fa.
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