Il valore della ricchezza detenuta all’estero dai possessori dei grandi patrimoni italiani, secondo l’indagine “Global Tax Evasion Report 2024” di EuTax Observatory (un gruppo di ricerca della Paris School of Economics guidato dall’economista Gabriel Zucman), ammonta a quasi 200 miliardi di euro. Si tratta, per la precisione, di 196,5 miliardi di euro, in gran parte leciti ma per una buona fetta non dichiarati al Fisco. Soldi che potrebbero essere affidati agli istituti finanziari del nostro Paese per essere magari investiti nelle nostre città ma che per varie ragioni sono stati trasferiti oltreconfine dai loro proprietari.
196,5 miliardi di euro di cui 181 miliardi sono depositati nei conti correnti delle banche offshore oppure in altre attività finanziarie come azioni, obbligazioni, fondi di investimento, polizze vita.
Geograficamente parlando, di questi 181 miliardi “censiti” di ricchezza finanziaria italiana offshore, il 45,5%, ovvero 82,6 miliardi, è depositato in Svizzera, una quota del 33,8%, pari ad altri 61,5 miliardi, si trova nelle aree fiscali protette all’interno dell’Unione Europea, il 14,6% (pari a 26,6 miliardi) nelle giurisdizioni asiatiche e 11 miliardi, il 6% del totale, nelle aree offshore del continente americano.
Una somma stimata in 15,5 miliardi di euro è stata invece impiegata per l’investimento in beni immobili in Costa Azzurra (7,3 miliardi), nelle grandi capitali europee come Parigi (3,7 miliardi) e Londra (2,7 miliardi), ma anche in altre aree come Dubai (920 milioni) e Singapore (140 milioni).
Mancano invece dati attendibili sulle somme impiegate all’estero per l’acquisto di beni rifugio o di altissima gamma come opere d’arte, oro, gioielli, auto di lusso e d’epoca, vini pregiati, yacht e jet privati. Il complesso di risorse accumulate attraverso questo tipo di investimenti porterebbe il totale del valore dei capitali detenuti dagli italiani nei paradisi fiscali a valori notevolmente più elevati.
In totale, la ricchezza offshore degli italiani, calcolata in base alle fonti di informazioni note e rilevabili, è pari dunque al 10,6% del PIL nazionale. Il solo patrimonio finanziario pesa per il 9,8% della ricchezza del Paese mentre il patrimonio immobiliare, per la parte conosciuta, vale lo 0,8% del PIL. Si tratta di una ricchezza sottratta al sistema imprenditoriale e al mercato dei capitali italiano che, se fosse impiegata in Italia, potrebbe rappresentare un importantissimo volano per lo sviluppo dell’economia nazionale. A tal proposito basti pensare che la massa totale dei capitali offshore equivale attualmente più o meno all’intero ammontare del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza a cui l’Italia affida il rilancio di un’economia che non cresce da decenni. O, ancora, il tesoretto degli italiani all’estero vale otto volte la manovra del governo Meloni, una volta e mezzo la spesa sanitaria e quasi quattro volte i fondi pubblici destinati alla scuola. Ci si potrebbero costruire 17 ponti sullo Stretto di Messina e si riuscirebbero ad acquistare più di 600 rigassificatori simili a quello di Piombino.
Non stupiscono questi dati se si considera che, dal 2016 al 2022, considerando soltanto i patrimoni finanziari ed escludendo, di conseguenza, gli immobili, dall’Italia sono fuggiti all’estero 159 miliardi di euro, che sono andati ad aggiungersi ai 74 miliardi già espatriati in precedenza. L’incremento di questa massa di denaro che sfugge ad ogni controllo è stata dunque del 144% e potrebbe essere spiegato dalla forte crescita del mercato azionario degli ultimi anni, che ha incrementato il valore degli asset finanziari. In queste occasioni, infatti, la ricchezza in generale (e quella offshore in particolare) tende a crescere più velocemente del PIL, mentre scende più rapidamente durante i ribassi del mercato azionario. Purtroppo, non esistono grafici che possano quantificare anche i soldi investiti in abitazioni, oro, gioelli, opere d’arte, yacht e aerei. E dunque i dati restano parziali. Nessuno conosce le vere dimensioni della fuga di capitali.
Ciò che invece è certo è che se, come proposto dalla ONG Oxfam Italia, si applicasse ai patrimoni un’imposta del 2% allo 0,1% dei contribuenti italiani più ricchi, l’Italia si garantirebbe un’entrata aggiuntiva fino a 16 miliardi di euro l’anno.