Il premier Matteo Renzi e il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan cercano di mascherare l’ansia da referendum e difendono la solidità dell’Italia. Lo spread? Di nuovo osservato speciale dopo essere finito nel dimenticatoio per diversi anni, il suo andamento non sembra allarmare il governo italiano. Che, più che altro, “lo usa” per ribadire quanto sia importante il SI degli italiani alle riforme costituzionali. C’è comunque una differenza: se Renzi cavalca la minaccia spread, Padoan usa toni ben più misurati.
Certo, lo spread è tornato a salire, e qualcosa significherà pure. Nelle ultime ore, il differenziale tra i rendimenti decennali dei BTP e dei Bund tedeschi è tornato anche sopra quota 190 punti base, a fronte di tassi che hanno ritrovato ormai la soglia del 2%, salendo fino al 2,131%. Superando i 190 punti, lo spread è volato al nuovo record in due anni, dall’ottobre del 2014. (prima di fare dietrofront e chiudere la giornata attorno ai 185 punti base). Lo spread fra Bonos spagnoli e Bund è avanzato a 135,4 punti.
Ma Padoan non sembra essere troppo intimorito dal trend del differenziale. Così il ministro, nel corso di un’intervista rilasciata a Sky-Tg24:
“La gestione del debito-pubblico è sotto controllo, sia dal punto di vista della dinamica sia dal punto di vista del finanziamento. Se si va verso una fase di tassi più elevati può essere per ragioni diverse: ci si aspetta più crescita e più inflazione, e questa è una buona notizia per il debito pubblico”. In generale, “i mercati finanziari sono in attesa, con un minimo di apprensione, su una cosa molto semplice: se continuerà la politica di riforme. Vogliono continuare a credere nell’Italia e temono che ci sia un’interruzione delle riforme”.
Il ministro rassicura anche che l’Italia non sarà attaccata dalla speculazione nei giorni successivi al referendum:
“Mi sembra uno scenario da escludere”, ha detto, precisando che la crisi dell’autunno del 2011 non si ripeterà, in quanto “i fondamentali del Paese sono molto migliorati: l’economia e l’occupazione crescono, i conti pubblici migliorano”.
Eppure proprio ieri era stato lo stesso numero due della Bce Vitor Constancio, durante la presentazione del rapporto sulla stabilità finanziaria, a dire che l’incertezza politica che potrebbe presentarsi a seguito del referendum “potrebbe generare o meno shock sui mercati finanziari” e che lo spread “è ovviamente connesso alla percezione dei mercati sui possibili risultati del referendum” sulle riforme costituzionali.
D’altronde, è vero che la fase rialzista dello spread è avvenuta in un momento in cui si sono verificati forti smobilizzi sui bond a livello globale – tanto che è andato in fumo $1 trilione sui mercati obbligazionari – ; ed è vero anche che tale trend è stato innescato dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni Usa e dalle speculazioni sull’adozione di una politica fiscale molto espansiva. Tuttavia, è innegabile che i movimenti che hanno interessato lo spread siano da collegare soprattutto ai timori degli investitori sul futuro dell’Italia. Anche perchè lo spread è, alla fine, un termometro della fiducia degli investitori verso l’Italia.
Detto questo, le parole di Padoan contrastano con i toni che sono stati reputati allarmistici utilizzati dal premier Renzi che, oltre a dire che “se perde il Sì, vince la Casta”, ha anche affermato a metà novembre che le oscillazioni sono “ovvie” perchè “se c’è incertezza lo spread aumenta”. Renzi ha parlato di “una constatazione, non di una minaccia”, ma la precisazione non è bastata a placare l’ira delle opposizioni. Come se non bastasse Renzi ha affermato oggi che il referendum costituzionale è decisivo, e che l’Italia “si sta giocando il futuro”, ribattendo all’Economist, che ha deciso di votare no con queste parole:
“L’Economist dice che la vittoria del No forse è meglio perchè arriva un governo tecnocratico, magari per l’Italia è meglio. Io l’ultimo governo tecnocratico che mi ricordo ha alzato le tasse e portato a -2,3% il Pil, era il governo di Mario Monti”.