Il prezzo del petrolio e quello dell’oro sono scesi: il primo, che era salito a 28 dollari nei giorni di maggior preoccupazione, è tornato, sulle piazze europee, a 24,5 dollari il barile, lo stesso livello di quando era sembrato che il conflitto in Iraq dovesse essere brevissimo; l’oro è passato da 330 dollari a 325 dollari l’oncia.
Questi due fatti racchiudono un segnale. Dicono che il panico è finito. Da quando gli eserciti alleati sono arrivati alle porte di Baghdad e hanno conquistato l’aeroporto internazionale, gli operatori economici avvertono una maggiore sicurezza.
I due mercati, quello del greggio e quello dell’oro sono diversi: nel primo contano gli specialisti del settore, nell’altro la gente comune.
Ma la convergenza dei due ribassi indica che sia gli esperti petroliferi, con la loro particolare conoscenza del Medio Oriente, sia i privati concordano sul fatto che la guerra andrà avanti ormai senza particolari contraccolpi.
In percentuale la discesa del petrolio è molto più vistosa, rispetto a quella dell’oro, perché su questo mercato giocano molto gli acquisti e le vendite senza pagamento in contanti, un sistema con il quale si anticipano in pratica gli eventi futuri.
Ora, chi aveva fatto scorta di petrolio, non nel senso di accumularlo nei serbatoi, ma con opzioni di acquisto futuro, tende a disfarsi delle opzioni perché immagina un mercato con offerte normalizzate.
E la liquidazione di queste scorte contrattuali fa scendere i prezzi prima ancora che ritorni l’ordinaria offerta di greggio iracheno. Quanto all’oro, il prezzo è regolato solo in parte dagli acquirenti commerciali, che fanno contratti a termine.
Nel mercato gioca molto di più il sentimento comune dei cosiddetti tesaurizzatori. Chi ha comperato oro per precauzione, non lo rivende volentieri, perché non vi sono investimenti altrettanto remunerativi: i tassi d’interesse restano molto bassi, il prezzo degli immobili è ancora alto e sul mercato azionario esistono incertezze dovute non tanto al conflitto, quanto alle delusioni che si sono avute in Borsa.
Nonostante questo, gli acquisti dell’oro, come bene rifugio, diminuiscono e il mercato cede. La guerra continua, ma la sindrome di Saddam sembra già finita.
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