Società

La politica in vetrina: manca il lavoro, ma c’è il sindacato

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Questo 1° maggio è particolare, perché ricorda provvedimenti recenti che hanno inciso e molto di più incideranno sul rapporto “azienda/lavoratori”, tanto per effetto del vituperato Jobs Act che per l’abolizione dei Voucher.

Il primo, grazie anche a ingenti contributi pubblici, ha determinato nell’ultimo triennio la creazione di oltre settecentomila posti di lavoro, il secondo invece, al posto di combattere gli abusi che non mancano mai, ha abolito una forma molto semplice che consentiva l’emersione di lavoro nero facendo versare i prescritti contributi all’INPS.

In ambo i casi il Sindacato si è messo di traverso, andando contro corrente, anzi contro il buon senso!

Con la Fiat è andata peggio. Tutti a criticare l’Amministratore delegato Marchionne quando trasferì la sede legale della FCA in Olanda, con il chiaro intento di abbattere gli oneri fiscali, considerata l’altissima tassazione esistente nel nostro Paese.

Nessuno ammette tuttavia che la ex società automobilistica torinese, ormai diventata una multinazionale dell’auto – diventata Fiat Chrysler Automobiles con la fusione con l’azienda americana – moribonda ed esausta in Italia, oggi è resuscitata, in crescita ed in grado oggi di competere, se non in vantaggio, certamente ad armi pari sul mercato automobilistico mondiale. Grazie alla lungimiranza e capacità del management, l’azienda ha riaperto tutti gli stabilimenti produttivi in Italia, togliendo dalla cassa integrazione decine di migliaia di lavoratori.

Anche qui, fin dal primo momento, con lo scoppio della crisi, il Sindacato, con tutta la galassia dei metalmeccanici, salvo criticare ferocemente tutte le scelte aziendali organizzando scioperi ad oltranza, non ha saputo fare altro.

Malgrado i risultati finali, il Sindacato tace, non sono previsti ringraziamenti!

Come poco o niente ha saputo fare per evitare la deriva della nostra Compagnia aerea di bandiera (Alitalia) che, salvo accumulare perdite depauperando all’inverosimile il capitale, anche attraverso compensi lunari al management assolutamente incapace di competere su un mercato, quello aereo, peraltro in crescita.

Il Sindacato, ad avviso di chi scrive, dovrebbe stare anche dalla parte di chi il lavoro lo produce, di chi crea ricchezza e, insieme alla Stato, cercare con ogni mezzo le condizioni migliori in termini di accordi aziendali sul territorio e di controllo per il rispetto di tali accordi. Penso per esempio allo scempio e degrado ancora esistente nel settore del “caporalato”: http://www.giovannifalcone.it/9833/la_politica_in_vetrina__orrori_del_terzo_millennio_.html .

La parte debole del rapporto, cioè quella del lavoratore che, per definizione deve  trovare la collaborazione del Sindacato, dovrebbe essere tutelata soltanto attraverso l’azione di controllo esercitata dallo Stato sull’osservanza e rispetto delle regole concordate.

L’imprenditore deve essere posto nelle condizioni di fare impresa, attraverso una fiscalità non esosa come quella esistente in Italia e una sinergia con il Sindacato, finalizzata a creare posti di lavoro e non  solo, come ahimè avviene di solito, alla sola tutela del lavoro esistente.

A guardare dall’esterno, come un comune osservatore interessato, si ha la sensazione che il Sindacato degli ultimi decenni, consideri l’imprenditore distante anni luce dalle esigenze del lavoratore. Questo non è accettabile e men che meno giustificabile, tanto più quando vediamo aziende che delocalizzano per pura sopravvivenza o, ancora peggio, imprenditori che ricorrono a gesti estremi della propria vita, perché incapaci di superare difficoltà economiche contingenti.

I problemi del lavoro, quando esistono, come quelli che stiamo vivendo più o meno tutti, sono comuni e non riguardano soltanto il lavoratore ma anche la ricerca del modo migliore di fare impresa.

Nel frattempo, continuiamo a cercare il lavoro e teniamoci il Sindacato!