E allora che facciamo? Siamo almeno in grado di prendere una decisione in grado di far comprendere agli elettori di sinistra che si intendono recuperare – almeno a chiacchiere – cosa vogliamo fare da grandi?
A leggere la situazione dall’esterno, come osservatore interessato a capire, soprattutto dopo il 70% di consensi alle primarie elargito a Matteo Renzi, sembra comprendere che il recupero dell’elettorato di sinistra è inversamente proporzionale al numero di poltrone e cespugli esistenti da quelle parti.
Con il fiorentino alla guida del Partito democratico, è ancora immaginabile un centrosinistra senza Matteo Renzi o invece è l’esatto contrario?
Trattasi di cespugli che nel recente passato hanno sempre ostacolato il cammino del Partito democratico, a cominciare dalla manifestata ostilità al processo riformatore interrotto il 4 dicembre 2016 quando, molto inopinatamente, molti dirigenti hanno bollato quella giornata come la “Waterloo del Partito democratico” e del suo leader di riferimento.
I risultati delle Primarie PD dell’altro giorno, hanno certificato l’opposto. Il buon senso di tantissimi italiani che hanno votato alle Primarie sembra essere superiore al disfattismo imperante fra tanti sinistrorsi.
Il 41% dei consensi al processo riformatore rappresenta una forza con la quale bisogna fare i conti. Oggi, il centrosinistra vecchia maniera, dove si chiacchiera a tempo perso è finito. Oggi, bisogna avere delle idee, cercare di spiegarle prima e metterle in pratica poi, possibilmente in tempi brevi. Oggi i tempi della politica sono cambiati ed il tempo è tiranno, non aspetta e la globalizzazione impone un calendario diverso dal passato.
Orami, è definitivamente tramontata l’epoca delle metafore che nessuno o pochi capiscono, la situazione è difficile, va affrontata con decisione e coraggio anche in Europa.
Gli unici ad aver perso, ad avviso dello scrivente, sono i fautori dell’accozzaglia che, ostacolando il processo riformatore, hanno avuto la sfacciataggine di dire che in sei mesi avrebbero scritto una riforma “più migliore assai” e invece, “palude assoluta vecchia maniera”.
Questi soloni del NO, insieme ad esimi costituzionalisti e persone di cultura di varie estrazioni non solo politiche, incapaci di costruire niente e men che mai qualcosa nell’interesse del sistema Paese – già peraltro sperimentato negli ultimi trenta anni – hanno avuto la capacità e sfrontatezza di ostacolare l’unico processo di semplificazione del quadro istituzionale, di riduzione della spesa pubblica, di sburocratizzazione dei processi decisionali della P.A., di eliminazione di carrozzoni pubblici inutili per l’efficienza di uno Stato, approvato in Parlamento e presentato al giudizio degli italiani: una occasione storica che ha soltanto aumentato l’elenco delle occasioni perdute.
Oggi, a urne chiuse e bocce ferme, si può iniziare un ragionamento immaginando un percorso unitario riprendendo con forza il processo riformatore interrotto il 4 dicembre 2016?
Questa è la domanda che dovrebbe porsi il c.d. campo progressista che voleva costruire il centro sinistra senza Matteo Renzi.
Quel campo progressista, da subito, anzi che dico da ieri l’altro, dovrebbe invertire la rotta di 180° e capire che senza il Partito democratico del fiorentino non si va da nessuna parte, anzi no, si va nella preistoria che gli italiani hanno abiurato.