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La pressione tributaria, diretta e… indiretta

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“”Beati voi che in Italia avete l’IVA al 20%, da noi in Spagna, purtroppo, è solo al 16%””

 

Questo è stato il contenuto di una telefonata della fine degli anni ’90, fra un imprenditore spagnolo ed un suo omologo di nazionalità italiana, ambedue operanti nel settore del commercio al dettaglio della componentistica per Personal Computer.

Ebbi personalmente modo di prendere nota della interessante conversazione, nel corso di una complessa indagine da me condotta al Comando di un Reparto della Guardia di Finanza, finalizzata al contrasto delle frodi all’IVA comunitaria.

Il metodo, ancora oggi molto diffuso, è quello di importare la merce dall’estero, per il tramite della interposizione fittizia di una “Testa di legno”, privo di contabilità ufficiale e di qualsivoglia organizzazione logistico imprenditoriale, che fattura sottocosto (con uno sconto di circa il 20% sul costo sostenuto per l’acquisto), direttamente al commerciante al dettaglio che a sua volta, decuplica il fatturato sbaragliando la concorrenza con estrema facilità.

Lo stesso risultato viene ottenuto anche acquistando sul territorio nazionale, ove la stessa “Testa di legno” acquista in sospensione d’imposta, autocertificandosi “Esportatore abituale”, previa sottoscrizione di una falsa Dichiarazione d’Intento.

Con la legge finanziaria del 2005, si tentò di contrastare tale fenomeno cercando di ampliare la “responsabilità solidale” dell’omesso pagamento dell’IVA a valle, purtroppo ad oggi con scarsi risultati.

Ho volutamente introdotto l’argomento di oggi facendo riferimento all’aneddoto “spagnolo”, per rispondere, almeno virtualmente, alle pubbliche e frequenti dichiarazioni circa l’opportunità di un innalzamento dell’aliquota IVA, con contestuale riduzione della tassazione diretta.

Appena oggi, leggo lo studio dell’Istituto Bruno Leoni che propone lo spostamento del carico tributario “dalle imposte dirette alle imposte indirette”.

Si ritiene, non so quanto a giusto titolo che, aumentare la tassazione sui consumi (imposta indiretta) e riducendo quella sui redditi (imposizione diretta), si ridurrebbe il costo della produzione a tutto vantaggio della competitività dell’impresa.

A mio modesto avviso è una ricetta tanto vana quanto dannosa.

Personalmente, sono dell’avviso che un aumento della pressione tributaria nel campo della “Imposizione Indiretta”, in assenza di una complessiva armonizzazione dell’imposta a livello comunitario, provocherebbe unicamente danni sotto molteplici aspetti.

Cercherò di analizzarne, sia pure sommariamente, solo alcuni:

  • Si tradirebbe, come peraltro già oggi succede in parte, lo spirito della Carta Costituzionale che vuole il “..concorso alle spese pubbliche, in ragione della loro capacità contributiva, secondo criteri di progressività..” art.53 della Costituzione. I ceti sociali meno abbienti sconterebbero l’onere impositivo nella stessa misura di altri cittadini con redditi medio alti[1];
  • Si registrerebbe, molto verosimilmente, una veloce contrazione nei consumi – con particolare riguardo a quelli voluttuari – danneggiando la stessa Impresa che, almeno apparentemente, si vorrebbe aiutare;
  • Aumenterebbe la “Frode all’IVA”, che nel nostro panorama tributario rappresenta l’imposizione indiretta per eccellenza, ricordando che l’evasore spagnolo avrebbe gradito l’IVA al 40% (così da vendere il prodotto acquistato in Olanda, con uno sconto sul prezzo di acquisto del 35% – vendite sottocosto).

La proposta avanzata oggi dall’Istituto LEONI, molto onestamente, mi sembra una toppa peggiore del buco.

Il vero problema, a mio avviso, è stato e rimane l’evasione fiscale che da tempo, ormai, ha raggiunto soglie patologiche, ove consideriamo che il sommerso, nel nostro Paese, ha totalizzato quasi un terzo della ricchezza nazionale.

Bisogna migliorare ed affinare le c.d. “Fonti d’innesco” dell’attività di verifica tributaria, dando agli Organi investigativi i migliori strumenti per la individuazione della ricchezza che, sia pure non molto ben distribuita, viene comunque prodotta.

Per concludere, ritengo che, la pressione tributaria nel suo complesso bisogna ridurla, se si vuole creare un naturale effetto di deterrenza, al contrario, si produce un maggiore incentivo ad evadere e non solo perché lo ha confessato l’imprenditore spagnolo, ma perché, sempre a titolo personale, credetemi sulla parola, lo vedo tutti i giorni.

E’ ovvio che per ridurre la pressione fiscale bisogna significativamente ridurre le spese di funzionamento della macchina dello Stato “accozzaglia” permettendo (Referendum 4 dicembre 2016 docet).

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[1] Pensiamo ai ceti meno abbienti che devono pagare la benzina allo stesso prezzo di chi guadagna un milione di euro all’anno