Il Tesoro ha colto l’attimo e, sfruttando il vento favorevole in Borsa portato dalla conferma del rating italiano da parte di Moody’s e dai prossimi eventi chiave (come il vertice tra Giorgia Meloni e il cancelliere tedesco Olaf Scholz e la decisione dell’Ecofin sul nuovo patto di Stabilità), ha avviato la cessione del 25% di MPS, Monte dei Paschi, con un’operazione lampo comunicata nel pomeriggio di ieri: attraverso una procedura accelerata di raccolta ordini, ha messo sul mercato poco meno di 315 milioni di azioni scontate del 4,9% (inizialmente era previsto attorno al 6%), che si è tradotto in un incasso di 920 milioni, ossia 2,92 euro per azione. Il collocamento si è concluso nella serata di ieri e ha registrato un boom di domanda, pari a oltre 5 volte l’ammontare iniziale: per questo motivo l’offerta è stata incrementata dal 20% al 25% del capitale.
A stimolare l’appetito del mercato sarebbero stati non solo il lavoro di turnaround avviato dal CEO Luigi Lovaglio (attestato dai conti superiori alle attese degli ultimi trimestri) e le notizie positive sul fronte giudiziario, ma anche l’appeal speculativo legato a una fusione ormai sempre più vicina sulla quale i fondi hanno deciso di scommettere fiches significative.
Il prezzo appetibile dell’offerta che ne ha trainato le richieste istituzionali collima però con l’apprezzamento da parte del mercato retail, che oggi sta penalizzando il titolo (-7,65% nel momento in cui scriviamo), timoroso forse che sia l’ennesimo buco nell’acqua per risanare Rocca Salimbeni e che i conti dell’istituto non godano ancora di perfetta salute per garantirne il buon andamento nel lungo periodo. E timorosi proprio delle sorti del probabile risiko da parte dei concorrenti.
Ma, dando uno sguardo più ampio al listino del settore bancario italiano, nella seduta di oggi tutti i principali istituti sono in realtà in rosso (BPER -2,68%, BPM -3,19%, Unicredit -1,45%, Intesa Sanpaolo -1,40%, Banca Generali -1,40%), a causa, secondo i principali analisti, di prese di profitto dopo settimane di rialzi.
Nel frattempo però l’operazione ha permesso al Tesoro di raggiungere diversi obiettivi contemporaneamente, sia a livello pubblico che privato, e nel contesto delle relazioni con Bruxelles.
Innanzitutto, l’esigenza immediata del Tesoro era di generare liquidità. Le banche incaricate dell’operazione, tra cui Ubs, Jeffries e BofA, hanno collocato una consistente quota di azioni senesi presso fondi italiani ed esteri, riuscendo a recuperare circa 920 milioni di euro.
Tra i soggetti che avrebbero comprato i titoli, anche in pacchetti corposi, ci sarebbero in prima fila la Algebris di Davide Serra, Kairos (appena comprata da Anima Holding) e Fideuram, il colosso del risparmio di Intesa Sanpaolo. Nella pattuglia anche l’alternative asset manager inglese Melqart (già attivo in passato sulle azioni e sui bond subordinati di Siena), Stone Point Capital, sempre basato a Londra, l’americana Wellington Management e la svizzera Psquared Asset Management.
Questa somma si è rivelata essenziale per il Governo, che non aveva ricevuto i due miliardi di euro previsti dagli extraprofitti bancari, e la cessione ha contribuito a colmare parte di questa lacuna nei bilanci.
Dal punto di vista finanziario, il Tesoro ha ottenuto un prezzo vantaggioso per la vendita, con un aumento del 50% rispetto all’investimento effettuato un anno fa nell’aumento di capitale. Tuttavia, per lo Stato, che ha investito più di sette miliardi in MPS dal 2017, questa operazione rappresenta solo un modo per mitigare le perdite.
In secondo luogo, la vendita del 25% segna un passo significativo verso la privatizzazione di MPS, che deve essere completata entro il 2024, in conformità agli accordi con la Commissione Europea. Questo invia un segnale positivo a Bruxelles e riflette il cambiamento di direzione del Governo italiano.
Dal punto di vista di mercato, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, offre MPS come un’opportunità in un contesto di mercato in crescita e tassi di interesse elevati, che sostengono i ricavi e i risultati. MPS sta proiettando utili di circa 1,1 miliardi di euro alla fine dell’anno, risultato del rialzo dei tassi e delle ristrutturazioni messe in atto dal CEO Luigi Lovaglio.
Infine, la prospettiva futura comprende la vendita del restante 44% di MPS di proprietà del Tesoro. Unicredit, Banco Bpm e Bper sono indicati come possibili acquirenti. Una fusione con un istituto più grande potrebbe diluire significativamente la quota del Tesoro, trasformando lo Stato in un socio meno ingombrante.
La recente vittoria di MPS contro il fondo Alken in sede civile rappresenta in effetti un alleggerimento dal rischio legale che apre la strada a potenziali benefici finanziari futuri, che potrebbero derivare anche dall’assoluzione degli ex vertici Alessandro Profumo e Fabrizio Viola il prossimo 27 novembre: se la condanna di primo grado verrà ribaltata in assoluzione, come molti osservatori ritengono, si libereranno centinaia di milioni a bilancio. Il mercato scommette anche su questo.