ROMA (WSI) – Il Financial Times li chiama “economic losers”, ovvero i perdenti dell’economia. Sono milioni di persone, in tutto il mondo – se non miliardi – che non hanno ricevuto alcuna soddisfazione economica dalla vita; “presi in giro e umiliati” dall’alta finanza, dalle varie elite che dominano il mondo, dalle lobby. Un esercito di “Umiliati e Offesi” che ora, almeno nei sistemi dove vige la democrazia, hanno finalmente l’occasione di dire basta alle offese che hanno subìto, a partire dalle tasse che hanno dovuto pagare, fino ad arrivare ai risparmi che hanno visto svanire per colpa di banche malgestite, alle ingiustizie economiche a cui hanno assistito.
“Anche i perdenti hanno il diritto di voto. E’ in questo che consiste, giustamente, la democrazia”. Esordisce l’FT nel suo articolo. E se si sentono presi in giro e umiliati in modo sufficiente, (questi perdenti) voteranno per Donald Trump negli Usa, Marine Le Pen in Francia e per Nigel Farage nel Regno Unito”.
L’esercito dei perdenti ha diverse cose in comune:
“Prima di tutto, rifiutano le elite che dominano la vita economica e culturale dei loro paesi: quelli che la scorsa settimana si sono riuniti a Davos in occasione del World Economic Forum. Le potenziali conseguenze sono spaventose. E le elite devono dare risposte intelligenti, ma potrebbe essere ormai troppo tardi”.
Che siano di destra o di sinistra, non importa. Le elite, sottolinea il quotidiano britannico, si sono allontanate dalla gente comune, e hanno formato piuttosto una “super elite globale”. Il risultato è la rabbia, che sta montando soprattutto sui nativi.
“Sono perdenti, almeno in modo relativo. Non condividono in modo equo i guadagni. Si sentono usati e abusati. E dopo la crisi finanziaria e la lenta ripresa del tenore di vita, giudicano le elite incompetenti e predatrici. La sorpresa non è nel fatto che ci siano tante persone arrabbiate: (la sorpresa) è sul perchè molte non lo siano ancora”.
Branko Milanovic, ex funzionario della Banca Mondiale, spiega che solo due categorie della distribuzione globale del reddito non hanno guadagnato praticamente nulla in termini di reddito su base reale tra il 1988 e il 2008: si tratta dei cinque percentili più poveri e di coloro che sono inclusi tra il 75esimo e il 90esimo percentile (in questa ultima categoria si tratta della popolazione che fa parte dei paesi caratterizzati da alto reddito).
Un’analisi dell’Economic Policy Institute di Washington mostra poi che i compensi percepiti dai lavoratori ordinari sono rimasti indietro in modo significativo rispetto all’aumento della produttività che si è verificato dalla metà degli anni ’70.
“Le motivazioni sono varie, e includono l’innovazione tecnologica, il libero commercio, i cambiamenti che sono avvenuti a livello di corporate governance e la liberalizzazione finanziaria. Ma c’è un fatto incontrovertibile: negli Stati Uniti – ma anche, sebbene su scala minore, in altri paesi ad alto reddito – i frutti della crescita sono concentrati in alto“.
C’è poi l’arrivo degli immigrati, la cui incidenza sulle varie popolazioni è balzata in modo significativo. A tal proposito:
“E’ difficile dire che tale fattore abbia dato benefici economici, sociali e culturali alla massa della popolazione. Sicuramente, ha portato benefici soprattutto in alto, aziende incluse”.
E’ in questo contesto che cresce la popolarità di politici/personaggi come Trump che, secondo l’FT, non è neanche un vero conservatore, come fanno notare diversi esponenti dell’idelogia repubblicana.
“E’ (semplicemente) un populista che, come altri candidati, propone tagli alle tasse impossibili da attuare (..) Trump è a favore del protezionismo sui commerci e ha un atteggiamento ostile nei confronti dell’immigrazione. E queste sue vedute piacciono ai sostenitori, che capiscono che hanno un asset di valore: la loro cittadinanza. Cittadinanza che non vogliono condividere con gli innumerevoli outsider. La stessa cosa è vera per i sostenitori di Le Pen o Farage”.
Ma il Financial Times avverte:
“I populisti non devono vincere. La storia la conosciamo già: va a finire molto male. Nel caso degli Stati Uniti, il risultato avrebbe un significato globale molto forte. L’America ha fondato l’ordine liberale globale e ne rimane garante. Il mondo ha disperatamente bisogno di una leadership Usa ben informata. E Trump non ne è capace. Il risultato (di una sua eventuale vittoria) sarebbe catastrofico”.
E ricorda:
“Democrazia significa governo di tutti i cittadini. Ma se i diritti dei residenti, ancora di più quelli dei cittadini, non vengono protetti, questo risentimento pericoloso crescerà. Di fatto, è già cresciuto in troppi posti”.