Economia

La verità: l’Europa sogna un leader anti-Merkel

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Nella pancia del Consiglio c’è chi sogna un anti-Merkel. «E’ una questione di equilibri latenti», confessa uno sherpa che da anni segue da dietro la porta le riunioni dei capi di stato e di governo dell’Ue. «François Hollande è stato una delusione – rivela -. Non è riuscito a essere il contrappeso che si sperava nei confronti della Germania».

Con Frau Merkel «non si capiscono e la cancelliera ha preso a tessere un’intesa pragmatica con Londra». La «frattura dell’asse franco-tedesco, allora, «ha consolidato il potere di Berlino». Il che, si ricorda, «aiuta per far avanzare l’Europa, ma non sempre nella giusta direzione».

La fonte si scusa per l’anonimato che, in realtà, non svuota il racconto della forza di Angela e del suo destino di leader difficile da sfidare. «Sarkozy inseguiva eppure mediava», racconta il nostro uomo: «Hollande parla molto prima e dopo le riunioni; dentro è più prudente. Negli ultimi vertici tutti lo attendevano al centro della scena. Niente. Il finlandese Katainen avrà preso la parola dieci volte e il francese quattro. Non te lo aspetti».

A giugno è stato Monti a tener testa ad Angela, continua lo sherpa. «Strano come altri Paesi, ad esempio la Spagna, si siano accodati all’italiano». Era una sfida sulla conoscenza dei dossier. «Ad ogni vertice c’è una ventina di leader che legge le note e basta». Lei, no. «Tratta punto per punto, è preparata. Se qualcosa non le va, ha pronto un emendamento». Negozia in inglese, per fare in fretta. Nell’emergenza è stata vista ricorrere al russo coi leader dell’Est. Lo ha fatto anche con Christofias, il presidente cipriota, comunista, uno che a Mosca parla la lingua del posto.

Pratica, autoritaria. «Rispetta Monti e da Berlusconi stava alla larga». Lo sherpa rivede il Cavaliere al suo ultimo vertice, ottobre 2011, quando «prese una sola volta la parola per attaccare la magistratura e i comunisti». Si perse un sacco di tempo, perché il già menzionato Christofias sentì il dovere di intervenire in difesa della politica rossa.

Succede. Solo di recente «David Cameron ha trovato la via giusta del dialogo con Angela e ora è un suo punto di resistenza. «E’ sempre un festival del body language», aggiunge. Il premier inglese «entra e si fa vedere con la cancelliera prima della riunione, così come a scuola si faceva col capo della classe». Gli altri sono «impressionati se non intimoriti». Anche all’ultimo vertice il patto con gli inglesi è stato cruciale: «La soluzione è venuta dalla loro pratica intesa».

Un passo indietro. Venerdì 7 erano pochi al Consiglio Ue pronti a scommettere sul decollo della supervisione bancaria da affidare alla Bce. Londra e Berlino frenavano. Nel weekend le due capitali hanno convenuto che non si poteva accettare un altro fallimento. Gli inglesi hanno tolto il veto, i tedeschi si sono ammorbiditi su spettro della vigilanza e ruolo di Draghi. L’accordo è arrivato coi ministri Ecofin, mercoledì 12. Al momento dei bilaterali, il tedesco Schaeuble s’è messo al fianco della presidenza di turno, cosa inusuale.

Il britannico Osborne, che aveva detto «me ne vado presto», è rimasto sino alle quattro del mattino, quando s’è avuta la fumata bianca. Il giovedì, una radiosa Merkel ha così favorito il congelamento del nuovo governo dell’economia, pericoloso in vista del voto d’autunno. Erano tutti contenti: «Dovresti vedere come le vanno dietro i premier del Nord!»

Imbattibile? Così serve all’Ue, che però esige anche un contraltare. Monti ci ha provato e ci è riuscito. Hollande non ha trovato il suo posto, mentre Cameron «è tattico», quando si capisce con Frau Merkel è sintonia fruttuosa. Così a Bruxelles si auspicano alternative e si guarda anche all’Italia. Con allarme per Berlusconi.

Con curiosità per un eventuale centrosinistra al governo. Pier Luigi Bersani, nel caso, promette «un ruolo attivo perché si componga un nuovo asse continentale a sostegno dell’integrazione». Non cela l’ambizione di essere il pivot di un rinato dialogo Berlino-Parigi. Troppa Germania? «Non voglio litigare con la Merkel – ha spiegato a La Stampa -. Se auspica nuovi vincoli di bilancio non burocratici le dico “va bene”. A fronte di questo, occorre anche una maggiore flessibilità nei confronti della crescita e un ragionamento sugli equilibri macroeconomici».

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