Roma – Traditi, vessati e beffati. Gli esodati passano al contrattacco, e naufragata in Parlamento l’ultima possibilità di mettere al riparo i 260 mila lavoratori che ancora sono rimasti fuori dalle salvaguardie messe in campo dal governo, vogliono portare in Tribunale Elsa Fornero e hanno dato mandato allo studio legale Alleva di Bologna di denunciare il Ministero del Lavoro e chiedere il risarcimento per danni morali e mobbing sociale.
“Contro di noi si è creato un vero e proprio accanimento da dodici mesi a questa parte. Ora basta”, tuona Francesco Flore, del Comitato Nazionale Contributori Volontari, la fetta di lavoratori che, avendo sottoscritto accordi con le proprie aziende, ha lasciato il proprio impiego continuando a versare autonomamente i contributi per raggiungere la soglia fissata prima della riforma Fornero. Solo una parte di quelli che, genericamente, vengono definiti “esodati”. “Ma siamo quelli che abbiamo subito più pesantemente gli effetti della riforma. Dietro di noi non ci sono sindacati o associazioni che fanno pressing sul governo”.
Numericamente, i contributori volontari rappresentano circa la metà della platea ancora in attesa della salvaguardia. Un numero che ad oggi, in attesa di nuovi interventi a cui sta ancora lavorando in extremis il governo, si attesta intorno ai 130.000 lavoratori, al netto dei 20 mila coperti dalla Legge 214/2011 (“Salva-Italia) e dalla L. 135/2012 (“Spending Review”). Una quota minima su un totale di circa 130.000 persone a cui è stato garantito di andare in pensione con le regole pre riforma.
“Da dodici mesi viviamo in un clima di incertezza e con l’impossibilità di programmare il nostro futuro. Non sappiamo di che morte morire, e questo non può che crearci ansia , depressione. Vorrei vcedere un ministro vivere una situazione del genere”. Da qui l’iniziativa di dare mandato allo studio bolognese, lo stesso che ha difeso – ottenendone il reintegro – i lavoratori Fiom licenziati a Pomigliano, di raccogliere le adesioni di ricorrenti per avviare una causa civile e chiedere il risarcimento per i danni causati dall’incertezza causata dai provvedimenti del governo. A mettere in crisi i contributori volontari, più che la riforma Fornero – che autorizzava quanti di loro avessero ottenuto l’autorizzazione prima del dicembre 2011 ad andare in pensione con le vecchie regole, è il decreto ministeriale del 1 giugno 2012 che fissa nuovi paletti, molto più rigidi, e che sbarra la strada a molti contributori.
Con loro c’è anche il comitato dei “Quindicenni”, altra categoria travolta suo malgrado dalla riforma Fornero e ora sul piede di guerra – circa 65mila secondo stime non ufficiali dell’Inps -, che riunisce quanti hanno lasciato il lavoro prima del 1992, grazie a una serie di deroghe previste dalla legge Amato 503, e che consentiva a chi avesse versato 15 anni di contributi prima del 1992 (o avesse ricevuto entro la stessa data l’autorizzazione a versare i contributi volontari), di incassare a 60 anni – per le donne – e 65 – per gli uomini – una pensione di vecchia proporzionale a quanto versato.
Ora, la circolare dell’Inps n°35, pubblicata a marzo, ha imposto regole più restrittive per queste deroghe, imponendo il versamento di almeno 20 anni di contributi, costringendo chi ormai da molti anni è fuori del mercato del lavoro a rientrare o a versare le quote mancanti. “Sono cifre impossibili da sostenere – spiega Evelina Rossetto, del comitato “I Quindicenni” – sono per la maggior parte donne, che hanno lasciato il lavoro dedicandosi a lavori casalinghi e facendo le veci – nei fatti – dello Stato, realizzando una sorta di Welfare supplettivo”. Per loro, una sorta di strada senza uscita. “Non hanno da parte 30-40 mila euro da versare per ottenere ciò che una norma aveva già previsto spettasse loro. E non è nemmeno possibile riavere indietro quanto versato. Diventano contributi silenti, persi per sempre”.
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