Febbraio 2017. L’ex premier Matteo Renzi, di ritorno da un viaggio in California lancia, in un’intervista rilasciata al Foglio, la proposta dem alternativa al reddito di cittadinanza. Il nome è diverso, “lavoro di cittadinanza”, ma il principio di base è assai simile a quello del sussidio che due anni dopo è stato concretamente adottato dal governo giallo verde.
“Il tema non è il reddito di cittadinanza, che vuol dire dare a tutti dei soldi”, aveva dichiarato Renzi, “il tema è porre la condizione per avere un lavoro, se perdi il lavoro devi avere un paracadute che ti dia un sostegno economico che sia vincolato alla formazione professionale per rimettersi in gioco”.
Dall’altra parte dell’oceano, l’idea di “lavoro di cittadinanza“, però, sta assumendo un’accezione ben più radicale rispetto a quella renziana. E pare destinata entrare in campo nella futura campagna delle presidenziali Usa 2020.
Stato, “datore di lavoro di ultima istanza”
Secondo una proposta avanzata dai democratici “radicali” Bernie Sanders, Cory Booker e Kirsten Gillibrand lo stato dovrebbe garantire un lavoro a chiunque lo richieda. Il salario minimo sarebbe di 15 dollari l’ora (30mila all’anno). In questo caso, dunque, lo stato non si limita a formare risorse affinché accedano nuovamente al mercato del lavoro privato.
Si tratterebbe, al contrario, di lavoro assegnato e retribuito direttamente dalla pubblica amministrazione. Secondo quanto scrive l’economista Jeffrey Dorfman su Forbes, quest’idea, per quanto ancora carente nei dettagli, potrebbe “essere accolta dai conservatori”.
O, quantomeno, potrebbe essere più digeribile rispetto a un reddito universale di base (UBI nell’acronimo inglese). Un esempio è quello proposto dal candidato alle primarie democratiche Andrew Yang.
Lavoro sicuro e salario retribuito dallo Stato
Secondo Dorfman, questa proposta potrebbe attirare il sostegno dei conservatori se intesa come vincolo per l’accesso ad altri programmi di welfare pubblico:
“Come sostituzione al welfare, una garanzia di lavoro appare improvvisamente molto più attraente. Il cambiamento è semplice: qualsiasi adulto normodotato perderebbe diritto a qualsiasi programma di welfare perché gli sarebbe richiesto di farsi carico di un lavoro garantito dal governo, in cambio di salario e assicurazione sanitaria. In questo modo, una garanzia del posto di lavoro sostituirebbe tutti i sussidi sociali, tranne l’assicurazione di invalidità”.
Tornando al caso italiano, il “lavoro di cittadinanza” è stato rilanciato lo scorso novembre da Liberi e Uguali. Il deputato Stefano Fassina (ex Fmi ed ex viceministro dell’Economia) aveva sottolineato la necessità che le amministrazioni creassero direttamente lavoro perché, in Italia, la disoccupazione non sarebbe dettata tanto dal mancato incontro fra domanda e offerta di lavoro.
Al Sud, in particolare, le occupazioni disponibili non sarebbero sufficienti. Il lavoro di cittadinanza che aveva proposto Liberi e Uguali sarebbe stato “gestito da Comune e associazioni di cittadinanza attiva, ma selezionato attraverso un bando nazionale”. L’emendamento al Ddl Bilancio, però, non ha ottenuto l’approvazione dell’Aula.