A cura di Ettore Nardi
Per l’ennesimo anno tristi report fotografano in chiaroscuro la preoccupante situazione dei giovani italiani e l’emorragia di capitale umano rappresentato da quanti, soprattutto neolaureati, sono costretti alla diaspora verso l’estero per iniziare – in pochi casi per migliorare – la propria attività lavorativa.
Il rapporto “Strategia per le competenze”, appena pubblicato dall’Ocse evidenzia come “negli ultimi 15 anni i risultati economici dell’Italia sono stati lenti”. Nonostante alcuni progressi nell’occupazione la crescita di produttività è stata stagnante. E, secondo l’Ocse, a creare questa stagnazione è anche il deficit nelle competenze dei giovani, inadeguate per la competitività del mercato del lavoro.
Inoltre, lo studio dell’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro, “Il lavoro dove c’è”, afferma che oltre 500mila dei nostri giovani conterranei, tra il 2008 e il 2016, si sono cancellati dall’anagrafe per trasferirsi oltralpe: Germania, Francia e Regno Unito, le mete preferite per cercare lavoro.
Le cause vanno ricercate, senza ombra di dubbio, nel mutato contesto lavorativo e professionale, ormai globalizzato, soprattutto se si guarda al sistema imprenditoriale e industriale. E così diviene quasi obbligatoria un’esperienza di qualche anno all’estero, perché arricchisce il curriculum e il bagaglio di competenze.
Ciononostante è decisamente difficile accettare l’emigrazione, quella a tempo indeterminato, dei nostri giovani del Sud, dovuta a mancanza di lavoro e di opportunità. Tale condizione, infatti, non nuoce solo alle famiglie in termini umani e affettivi, ma anche, e soprattutto, in termini sociali ed economici al territorio nel quale questi giovani hanno vissuto e si sono formati.
Secondo l’Ocse, ogni studente italiano, dall’asilo all’università, costa allo Stato, e quindi alla collettività, oltre 100mila euro. E allora “fugge”, insieme a ciascun laureato che si trasferisce definitivamente all’estero, anche l’anzidetto investimento in istruzione, sapere e conoscenza, senza contare che quel cervello contribuirà, peraltro, ad arricchire lo Stato nel quale trasferisce la residenza, in termini di produttività e pagando le tasse lì e non in Italia.
Oltre il danno, la beffa. Il tutto nella quasi totale indifferenza del Sistema Paese che, per effetto di questo esodo, ha regalato negli ultimi 7 anni circa 23 miliardi di euro ad altri Stati, perdendo due volte: in termini di capitale economico-finanziario e sociale-umano.
E se fino a qualche decennio fa la laurea in ingegneria garantiva un accesso privilegiato al mondo del lavoro, quest’oggi i giovani ingegneri condividono con i loro coetanei, dottori in altre discipline, difficoltà e ostacoli sempre più gravi ed evidenti, che li portano, al pari degli altri, a cercare lavoro all’estero.
Sull’autore:
Ettore Nardi, napoletano, 34 anni, è ingegnere civile, giornalista pubblicista, funzionario tecnico dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, dove si occupa di sicurezza e prevenzione incendi degli edifici dell’Ateneo. È stato appena rieletto, per il secondo mandato, Consigliere dell’Ordine degli Ingegneri di Napoli, dove dal 2016 è anche Responsabile della Trasparenza e Anticorruzione dell’Ente.