ROMA (WSI) – Chi non ricorda i famosi bamboccioni dello scomparso Tommaso Padoa Schioppa e i “choosy” di Elsa Fornero? Ora arriva un’altra perla direttamente dalla bocca dell’attuale ministro del lavoro, Giuliano Poletti. Meno pesante rispetto alle primi due uscite, ma ugualmente ad effetto.
“Prendere 110 e lode a 28 anni non serve ad un fico, è meglio prendere 97 a 21 anni”.
Nel corso di un incontro con gli studenti al salone “Job&Orienta” della Fiera di Verona il numero uno del dicastero sul lavoro e le politiche sociali ci va giù pesante contro gli studenti particolarmente diligenti che si impegnano a raggiungere l’ambito traguardo della lode. Il problema per Poletti è che in Italia c’è l’idea che il voto alla laurea serva, e non si considera il fattore tempo che porta i giovani ad arrivare al mercato del lavoro in netto ritardo.
“Perchè è meglio laurearsi con 97 a 21 anni? Perchè così, un giovane dimostra che in tre anni ha bruciato tutto e voleva arrivare. In Italia abbiamo un problema gigantesco: è il tempo. I nostri giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo”.
Se si gira in tondo per prendere mezzo voto in più si butta via del tempo che vale molto molto di più di quel mezzo voto, dice Poletti in un’analisi che in molti nel resto d’Europa condivideranno dal momento che nella maggior parte dei paesi occidentali non esistono i “fuori corso“.
“Noi in Italia abbiamo in testa il voto, non serve a niente. Il voto è importante solo perché fotografa un piccolo pezzo di quello che siamo; bisogna che rovesciamo radicalmente questo criterio, ci vuole un cambio di cultura“.
Parole che hanno ovviamente suscitato un polverone specie sui social dove c’è chi difende le parole di Poletti, indicate come verità. E per le giovani generazioni che ancora studiano alle superiori, il ministro sfata un altro mito: non esiste un lavoro, ma oggi il lavoro si fa “in mille posti”.