Economia

Lavoro: stop alla great resignation, ora gli italiani si tengono stretto il proprio posto

Se fino a un anno fa le aziende erano chiamate ad affrontare il fenomeno della great resignation, vale a dire l’aumento eccezionale del numero di lavoratori che volontariamente lasciano il proprio posto di lavoro, ora il trend sembra aver decisamente cambiato rotta. A confermarlo, sono i dati del recente Rapporto Censis-Eudaimon.

I dati italiani

Dall’analisi della dinamica su base trimestrale relativa al 2023 si segnala un trend discendente delle dimissioni, poiché si registra -5,8% nell’ultimo trimestre del 2022 e contrazioni del -3,4%, del 2,9% e del -1,8% nei primi tre trimestri del 2023. Dati in controtendenza rispetto al +33,6% tra 2020 e 2021 e +14% tra 2021 e 2022. Un segno chiaro che l’onda alta delle dimissioni in Italia è visibilmente in rallentamento.

Su 2,1 milioni di cessazioni di rapporti di lavoro dipendente privato (esclusi gli operai agricoli e i lavoratori domestici) per dimissioni, quelle riguardanti rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono state 1,2 milioni. In tale categoria il tasso di ricollocazione a tre mesi dei dimessi volontari del 2022 con meno di 60 anni è stato pari al 67%, più alto rispetto agli anni precedenti. Questi ultimi due dati, se valutati congiuntamente, lasciano intendere che le dimissioni volontarie fossero dovute ad un’ondata di “cambi di lavoro”, probabilmente spinta dalla necessità di condizioni di lavoro più favorevoli.

Trend confermato anche dall’estero

Conferme dello stop alla great resignation arrivano anche dall’estero. Nel Regno Unito il CIPD, associazione di professionisti della gestione delle risorse umane, ha iniziato a parlare di “Big stay” con più persone che optano per la stabilità lavorativa. Analoga la tendenza registrata negli Stati Uniti: un sondaggio pubblicato da Human Resource Online svela che 4 dipendenti su 5 (quasi l’80%) non intendono cambiare lavoro almeno fino al 2025.

“Il rallentamento delle dimissioni di massa non è necessariamente un segnale solo positivo – commenta però Alberto Perfumo, ceo di Eudaimon – perché la minor centralità del lavoro rispetto alle altre priorità può portare ad avere persone che sì rimangono in azienda, ma senza le giuste motivazioni e senza trovare risposte a bisogni a cui l’aspetto salariale, per quanto fondamentale, non può rispondere se non in parte”.

Welfare per ridurre rischio dimissioni

Passare da great resignation a great exhaustion è un attimo. Il rapporto Censis-Eudaimon ha già lanciato l’allarme ricordando che la grande maggioranza dei lavoratori esplicitamente indica che nel prossimo futuro ha intenzione di ridurre il tempo dedicato al lavoro, mentre quote significative già oggi, qualora possibile, proteggono il proprio tempo di non lavoro rifiutando straordinari, negandosi a call, mail e a ogni attività extra rispetto alle mansioni definite.

Un importante strumento in mano alle aziende per limitare il rischio dimissioni continua ad essere il welfare aziendale.

“Le aziende che hanno raccolto la sfida stanno investendo sempre più nel welfare – prosegue Perfumo – con iniziative che promuovono una migliore qualità della vita per tutte le loro persone. Così, accanto alla componente economica del welfare, fatta di piattaforme che contengono tutta una serie di benefit, quali buoni per la spesa, rimborsi delle utenze e degli affitti …, le aziende più innovative propongono iniziative e servizi in materia di prevenzione, salute, genitorialità, care giving, lavoro giovanile e molto altro, tutte soluzioni che vanno incontro alle aspettative dei collaboratori di benessere e qualità della vita”.