A partire dall’anno scorso le principali banche centrali mondiali hanno avviato un ciclo di inasprimento monetario che ha messo fine ad anni di tassi di interesse estremamente bassi o persino negativi. Questo ha determinato una serie di conseguenze sui mercati finanziari e sulla vita delle persone.
Analizziamo in particolare il livello attuale dei tassi nelle principali economie globali e gli effetti sui rendimenti obbligazionari e sui costi dei prestiti.
Tutti i tassi delle principali banche centrali
Vediamo innanzitutto una panoramica degli attuali tassi di riferimento a livello globale. A seguito dell’ultima riunione del 1° febbraio, in cui il Fomc ha alzato il costo del denaro di 25 punti base, la Fed ha fissato il tasso per i prestiti overnight tra banche statunitensi (il cosiddetto “Fed Funds rate”) nel range tra il 4,5% e il 4,75%, con un incremento complessivo di 450 punti base rispetto all’inizio del 2022.
Per quanto riguarda l’eurozona, con il ritocco di febbraio pari a 50 punti base, la Bce ha portato il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali al 3%, quello sulle operazioni di rifinanziamento marginale al 3,25% e quello sui depositi presso la banca centrale al 2,5%. L’aumento complessivo dall’inizio del ciclo restrittivo è pari a 300 punti base.
Nel Regno Unito, il tasso di riferimento fissato dalla Bank of England è pari al 4%, dopo l’ultima stretta da 50 bp. In Canada, il benchmark sul costo del denaro è stato innalzato a gennaio di 25 bp al 4,5%, mentre in Australia i tassi sono stati portati dal 3,1% al 3,35%.
L’unico fra i maggiori Paesi mondiali ad avere ancora tassi negativi è il Giappone, dove a gennaio è stato mantenuto lo status quo con un riferimento pari a -0,1%. Nella tabella sottostante, gli altri tassi di interesse ordinati dal minore al maggiore.
Le aspettative su Fed e Bce
Vediamo ora quali sono le previsioni del mercato sulle prossime mosse dei principali istituti.
Per quanto riguarda la Fed, il mercato degli swap al momento prezza tre ulteriori strette monetarie, con un tasso terminale medio atteso superiore al 5,4% tra luglio e settembre. Le decisioni restano comunque subordinate all’andamento dei dati macroeconomici. Per il momento i numeri evidenziano un’inflazione ostinatamente elevata e un mercato del lavoro solido, che rischia di generare tensioni sui salari e rallentare la normalizzazione dei prezzi.
Nell’eurozona, è ormai dato per scontato un aumento dei tassi di 50 punti base a marzo, come preannunciato dalla Bce nell’ultima riunione. Per quanto riguarda i prossimi meeting, l’ipotesi più accreditata al momento è quella di un incremento complessivo del costo del denaro pari a 150 punti base entro fine anno, ma anche in questo caso tutto dipenderà dai dati in arrivo.
Le prospettive su BoE, Bank of Canada e BoJ
Anche nel Regno Unito, le pressioni sui prezzi si mantengono più forti e persistenti del previsto. I funzionari della BoE sembrano dunque indirizzati ad effettuare un ulteriore ritocco di 50 punti base a marzo, che porterebbe il tasso di riferimento al 4,5%. Verso fine anno, invece, la “Old Lady” dovrebbe cominciare a tagliare il costo del denaro.
La Bank of Canada è stata invece il primo istituto ad annunciare un possibile stop del ciclo restrittivo. Se le previsioni della banca centrale sulla trasmissione della politica monetaria si riveleranno corrette, i tassi sarranno mantenuti sui livelli attuali (4,5%) in attesa di verificare la risposta dell’economia canadese.
Discorso a parte per la Bank of Japan, unica a non avere ancora abbandonato i tassi negativi. Giovedì si terrà l’ultima riunione sotto la guida del vecchio governatore, Haruhiko Kuroda, dopodiché il timone passerà a Kazuo Ueda, secondo cui l’attuale politica ultra accomodante rimane comunque appropriata. È dunque probabile che l’istituto mantenga un atteggiamento prudente fin quando persisteranno timori di recessione.
Gli effetti dei rialzi dei tassi sui titoli di Stato
Uno degli effetti principali scatenati dall’inasprimento monetario delle banche centrali è l’impennata dei rendimenti dei titoli di Stato.
A partire dal marzo 2022, quando la Fed ha iniziato ad alzare i tassi, il rendimento del Treasury decennale statunitense è passato dall’1,7% all’attuale 3,9%, dopo aver raggiunto un picco oltre il 4,2% lo scorso ottobre.
In Europa, il Bund a 10 anni, il benchmark di riferimento per la regione, ha abbandonato definitivamente l’area negativa a marzo del 2022 per arrivare all’attuale 2,65%. Nello stesso periodo il Btp è passato dall’1,6% circa al 4,55% attuale.
Nel Regno Unito, il rendimento dei Gilt decennali è cresciuto nel giro di un anno dall’1,2% al 3,8%, toccando un massimo del 4,5% a fine settembre.
In Giappone, la banca centrale nipponica ha ampliato a dicembre il range di oscillazione dei rendimenti, portandolo dalla forchetta tra -0,25% e +0,25% all’attuale intervallo compreso fra -0,5% e +0,5%. La mossa lascia pensare ad un primo passo verso l’abbandono della politica di controllo della curva dei rendimenti, ma nell’ultima riunione l’istituto ha preferito mantenere inalterato questo strumento.
Gli effetti del rialzo dei tassi di interessi sui mutui
L’impennata dei tassi di riferimento ha avuto un impatto evidente anche sulle rate dei mutui. Secondo le stime delle principali associazioni per i consumatori, un aumento dei tassi di 50 punti base da parte della Bce si traduce, nel caso di un pieno trasferimento sull’Euribor, in un rialzo compreso fra 30 e 40 euro al mese, oltre 400 euro all’anno.
“Se si considerano tutti gli incrementi imposti dalla Bce a partire dallo scorso anno, la rata mensile di un mutuo a tasso variabile salirà complessivamente tra i 180 e i 230 euro rispetto a quanto pagato nel 2021, con ripercussioni sulle famiglie comprese tra i +2.160 e + 2.760 euro all’anno”, ha reso noto il Codacons.
“Se è vero che l’Euribor si muove in base alle aspettative dei tassi Bce, e non è detto che cresca in modo analogo agli indici della Banca centrale, l’ultimo anno ci ha mostrato come i due valori siano strettamente correlati”, affermano gli esperti di Facile.it. Le previsioni attuali sull’Euribor a tre mesi indicano un picco intorno al 3,25% tra il secondo e il terzo trimestre, rispetto al 2,8% attuale (era negativo fino a luglio 2022).
Non a caso Christine Lagarde, numero uno della Bce, ha affermato in questi giorni che le banche europee potrebbero varare delle misure per alleviare il rialzo dei tassi sui mutuatari ed evitare problemi ai debitori. “Sono sicura che molte banche sono pronte a rinegoziare” i mutui, poiché “è nel loro interesse non avere crediti non pagati nei loro bilanci”.
Si alzano i mutui ma non i rendimenti dei depositi
L’aumento dei tassi ha contribuito a sostenere i margini di interesse delle banche, ovvero (per semplificare) la differenza tra gli interessi attivi incassati dai prestiti erogati e gli interessi passivi corrisposti alla clientela che deposita il proprio denaro. Questo perché il repricing degli interessi passivi è tendenzialmente più lento rispetto a quello dei rendimenti richiesti dalle banche per prestare denaro.
I tassi di interesse su conti correnti e depositi, infatti, crescono più lentamente in un contesto di elevata offerta di moneta come quello attuale, alimentato da anni di politiche monetarie espansive. Inoltre, l’adeguamento di tali tassi dipende anche dalla concorrenza tra le stesse banche, che per il momento non hanno avuto forti inventivi ad offrire rendimenti più elevati alla propria clientela.
A dicembre, secondo i dati di Bankitalia, i tassi di interesse sui prestiti erogati nel mese alle famiglie per l’acquisto di abitazioni comprensivi delle spese accessorie (TAEG) si sono collocati al 3,36%, mentre i tassi di interesse sui nuovi prestiti a società non finanziarie sono stati pari al 3,55%. I tassi passivi sul complesso dei depositi in essere sono stati invece pari allo 0,45%.
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