ROMA (WSI) – Le multinazionali italiane “sono già piccole, poco competitive, meno orientate all’export, meno solide e meno redditizie delle concorrenti estere”.
Nel suo ultimo rapporto, R&S Mediobanca ha provato a calcolare il peso delle quattordici corporation industriali maggiori del nostro paese. Ebbene, la loro incidenza sul Pil nazionale è la minore in Europa: 26,7%. Ma scenderà al 19,6% se Fiat confermerà il suo addio a Torino.
Così come scenderà l’incidenza del fatturato delle multinazionali tricolore sul totale di quelle europee; dal 7,5% attuale al 5,5% contro il 24% del Regno Unito, il 22% della Germania e il 15% della Francia. Fiat-Chrysler, che vale 7,1% del Pil, oggi è al diciottesimo posto nel mondo nella graduatoria per il totale di attivo, comandata nuovamente da Gazprom (293,1 miliardi) che ha superato la Toyota nel 2012. Fiat arriva a 108 miliardi, ed è preceduta tra le italiane solo dall’Eni, che è 14esima a quota 134 miliardi.
In tutto sono dodici le multinazionali italiane prese in considerazione da Mediobanca (che senza la casa automobilistica sono al 64,8% in mani pubbliche) e danno lavoro a 49.924 persone in Italia. Gli occupati scenderebbero a 36.992 se escludessimo Fca. IDEM per la bilancia delle esportazioni: se a fine 2013, comprendendo Fiat-Chrysler, nel settore della manifattura le nostre multinazionali nel 2013 hanno esportato l’85,9%, senza il Lingotto si sarebbe scesi, secondo Mediobanca, al 75,5%, quasi undici punti in meno rispetto alla media Ue che è dell’86,4 per cento.
La quota nazionale di vendite salirebbe dal 14,1% al 24,5%, con un crollo di 18 punti percentuali dell’export verso gli Usa, tornando ai livelli del 2010-2011. Ma gli effetti più allarmanti, quando Fiat migrerà, si avranno sulle statistiche relative al costo unitario del lavoro, il cosiddetto Clup, che grazie al gruppo torinese tra 2003 e 2012 è sceso del 13,9%, ma senza Fca sarebbe cresciuto del 3,1%. Per fare un raffronto, in Germania il calo è stato del 17,3%. Il valore aggiunto per dipendente scende infatti senza la Fiat da 64mila euro a 61.500, ed aumenta il costo del lavoro da 49.200 euro a 52.100, con un differenziale positivo che scende da 14.800 euro a 9.400 euro. Ecco l’effetto Marchionne che si manifesta anche quando l’analisi di Mediobanca si concentra sul settore automotive. Nel 2012, il 7,3% dei ricavi globali delle quattro ruote sono finiti in Italia, ma se si scorpora la sola Chrysler si scende al 2,8%, meno del 3,8% che il nostro Paese rappresentava a livello globale nel 2004.Lo scenario mondiale dal 2004 ad oggi è cambiato: il Giappone con Toyota e la Germania con Volkswagen hanno scalato la classifica dei produttori, a discapito degli Stati Uniti che con General Motors e Ford hanno perso posizioni, invertendo la tendenza rispetto a dieci anni fa. Corre invece la Corea del Sud con Hyundai e Kia. Fiat rimane all’undicesimo posto con 67,3 miliardi, ma dal 2012 è stabilmente davanti alla Peugeot. Volkswagen conquista il mercato mondiale delle vendite crescendo di 6 punti percentuali dal 2004 e arrivando al 15%. Segue Toyota con il 13,5% mentre Fiat è sesta con il 6,6%, in crescita di 2 punti percentuali rispetto al 2004
Va detto che comunque l’effetto Chrysler ha dato anche i suoi frutti: i ricavi del settore auto in Italia sono saliti dal 3,8% al 7,3% nell’ultimo decennio (senza Chrysler la quota sarebbe invece scesa al 2,8%). Il peso sul totale dei ricavi delle multinazionali italiane, che nel 2004 era del 27,1%, sale al 33,8% (senza Chrysler peserebbe il 15,6%). Rispetto alla situazione stagnante dell’industria, i giganti dell’automotive nel primo trimestre del 2014 segnano una ripresa del fatturato del 7,7 per cento.
Fiat si piazza sopra la media mondiale di 4,6 punti percentuali e segna un +12,3% grazie alle vendite Chrysler in Nord America e Messico. Diminuisce complessivamente il rapporto debiti finanziari su capitale netto, solo il gruppo di Marchionne lo aumenta in maniera evidente: +80,5 punti percentuali.
Senza la Fiat, tuttavia, emerge un quadro allarmante, con le multinazionali italiane che sarebbero le meno ‘export-oriented ‘ tra le big europee, anche se la momento si distinguono per la maggiore quota di ricavi dal Nord America. Quindi se fra le multinazionali della Penisola non dovesse figurare piu’ il gruppo Fiat, passato ad altra nazionalita’, l’esposizione globale diventerebbe piu’ omogenea, correggendo l’attuale sbilanciamento verso il Nord America e il profilo dell’export diventerebbe piu’ simile a quello degli altri big europei.
Dal 40,3% delle vendite in Nord America segnato nel 2012 (circa il doppio rispetto agli altri player) si passerebbe infatti al 22,8%. Come in passato, le multinazionali hanno aumentato la loro forza lavoro, ma lo hanno fatto piu’ all’estero che in Italia. Nel periodo 2003-2012 gli occupati all’estero sono saliti del 14% (+9,8% senza Fiat) contro l’8,6% medio europeo. Le multinazionali italiane si sono peraltro distinte, perche’ hanno creato anche qualche posto di lavoro (+0,1%) in patria contrariamente all’imperante trend di delocalizzazione (Europa -10,7%).
Nella Penisola, pero’, attualmente solo 3 abitanti su 1000 lavorano per una multinazionale industriale contro i 13 della Francia e i 9 della Germania. Quindi i colossi nostrani offrono meno opportunita’ di lavoro in patria rispetto agli altri big europei. I livelli di efficienza delle multinazionali italiane restano poi inferiori a quelli francesi e tedeschi. Il margine operativo netto (Mon) e’ del 5,2%, contro il 10% francese e il 7,8% tedesco e l’utile netto e’ pari al 2% del fatturato contro il 5,3% tedesco e il 4,8% transalpino.
In questo caso, senza Fiat il margine dell’Italia salirebbe al 2,5%. Il Mon, inoltre, nel 2013 in Italia e’ calato dell’11,4% contro il +2,6% tedesco e il -0,4% in Francia e l’utile netto in Italia e’ salito solo grazie alle partite straordinarie. Anche la solidita’ finanziaria e’ inferiore, con un capitale netto in percentuale sui debiti finanziari pari a un risibile 0,2% contro il 38,7% tedesco. Senza il gruppo Fiat, pero’, ci sarebbe un miglioramento che avvicinerebbe la Penisola ai livelli europei (27,2%).
E’ per altro solo a Chrysler che si deve l’aumento dei fatturato delle multinazionali tricolori (+0,7%). Senza la casa Usa, il saldo e’ a -1,5%. Le multinazionali italiane si confermano le piu’ deboli anche sulla base dei dati 2013, con margini ancora lontani dai livelli pre-crisi, mentre le tedesche e le francesi hanno ormai superato i livelli del 2008. Ma non e’ stata solo la ‘grande crisi’ a colpire, i problemi sono iniziati ben prima.
Posto a 100 nel 2003 il divario tra il Roi e il costo medio del capitale per l’azionista, per le multinazionali italiane l’indicatore e’ sceso nel 2012 al 93%, per le francesi e’ salito al 114% e per le tedesche al 116. Quindi, le italiane da una dozzina di anni bruciano ricchezza.