ROMA (WSI) – Come dice il premier Enrico Letta, sulle pensioni il tema resta quello dell’indicizzazione. «Che va portata avanti fino al suo completamento», spiegava ieri il presidente del Consiglio, ospite di «Domenica In» su Raiuno. Proprio nel giorno in cui tornava a montare la polemica sulle pensioni d’oro con la pubblicazione degli ultimi dati dell’Istat.
Nel 2011, il 5,2% dei pensionati (861mila persone in tutto), che percepisce un assegno mensile superiore ai tremila euro, ha assorbito in tutto 45 miliardi, vale a dire il 17% della spesa previdenziale. Poco meno di quanto sborsato per i 7,3 milioni di italiani, il 44% del totale, il cui reddito non supera i mille euro al mese. In cifre 51 miliardi in tutto, pari al 19,2% della spesa complessiva.
Questione, quella delle pensioni d’oro, tornata d’attualità con le considerazioni, tutt’altro che confortanti, contenute nella relazione illustrativa che ha accompagnato la Legge di stabilità all’esame del Parlamento. Nella quale si sottolinea come la restituzione ai super pensionati di quanto avevano perso con lo stop alla rivalutazione dei trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il minimo per gli anni 2012-2013, pesi sulle casse dello Stato per 80 milioni di euro.
Lo stop alle indicizzazioni era stato deciso nel luglio 2011 dal governo Berlusconi, ma era stato successivamente dichiarato incostituzionale dalla Consulta. Decisione per effetto della quale, al fine di rimborsare le somme versate all’entrata del bilancio dello Stato, si legge nella relazione, è stato istituito «un apposito fondo nello stato di previsione del ministero dell’Economia e delle finanze, con una dotazione di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015».
Cifre mica da ridere, se lette in parallelo con l’ultima fotografia scattata dall’Istat. Che richiamando la forbice distributiva tra i pensionati d’oro e quelli al minimo, rende lo squilibrio ancora più evidente: un milione di teste, in termini di spesa previdenziale, vale quasi come più di sette milioni di persone. Una frattura nella quale resta, inoltre, marcato anche il divario tra donne e uomini, che rappresentano il 76,3% dei pensionati over tremila euro al mese, quasi otto su dieci.
Nel confronto con l’anno precedente, sempre in base alle ultime proiezioni pubblicate dall’Istat a fine ottobre, colpisce anche il tasso di crescita dei super pensionati. A fronte della diminuzione del numero complessivo dei pensionati italiani, calato di 38 mila unità, nel 2011 nella fascia di quanti percepiscono più di tremila euro mensili si sono aggiunte altre 85 mila persone (+10,9%), con un aumento della spesa di 4,6 miliardi di euro. In generale c’è una tendenza alla «migrazione» dei pensionati verso classi d’importo maggiore, sottolinea l’istat, spiegabile sia con la perequazione annuale, sia con il fatto che il valore medio delle nuove pensioni è maggiore di quello delle cessate.
Infatti sempre nel 2011 si è verificata anche una diminuzione dei pensionati sotto i mille euro (di quasi 250mila teste, -3,3%). Tenendo presente che si sta parlando di pensionati e non di pensioni: una stessa persona può essere titolare di più trattamenti (pensioni di vecchiaia, invalidità, sociali e altro). La distribuzione dei pensionati per classe d’importo risente infatti della possibilità di cumulo di uno o più trattamenti sullo stesso beneficiario.
Sempre nel 2011 quasi un quarto dei pensionati è stato destinatario di un doppio assegno. Probabilmente con il blocco dell’indicizzazione e gli altri cambiamenti che hanno toccato il mondo delle pensioni dalla fine del 2011 qualcosa oggi è cambiato, ma si tratta comunque di dati consolidati, riflesso di situazioni che permangono negli anni.
Tra la fascia dei pensionati al minimo e quella degli assegni d’oro, vivono i 6,3 milioni di italiani che percepiscono un assegno tra i 1000 2 i 2000 euro e i 2,1 milioni di persone che ricevono tra i 2000 e i 3000 euro al mese. E che completano l’esercito dei 16,6 milioni di pensionati.
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