(WSI) – Il grande Axel Springer, pioniere del giornalismo popolare tedesco, aveva una convinzione indistruttibile. Sosteneva che la carta stampata si regge su tre parole: «Sesso, sangue, soldi». A sentir lui, un quotidiano o un settimanale che si occupi di scandali sessuali, di delitti e di quattrini, è sempre destinato ad avere un successo sicuro.
Lavoro nei giornali da quasi cinquant’anni. E non mi pare che la stampa italiana abbia mai adottato la linea di Springer. O almeno non mi sembra che l’abbia messa in pratica in modo sistematico. Prendiamo una delle tre parole: sesso. E proviamo a sovrapporla ai personaggi politici italiani. Ebbene, nella Prima Repubblica non si videro mai sfracelli.
Allora si mormorava molto. Sul premier sospettato di essere gay. Su un altro che sniffava cocaina. Su un altro ancora che aveva una passione segreta per una giovane cantante di musica leggera. Ma dopo il delitto Montesi, e il relativo scandalo, si era raggiunto un tacito accordo che escludeva il privato dalla lotta politica.
I servizi di sicurezza, soprattutto quelli militari, continuavano a compilare dossier sui politici, però non li diffondevano. Chi vuole saperne di più, legga un bel libro di Filippo Ceccarelli: “Il letto e il potere”, pubblicato nel 2007 da Longanesi.
Oggi la prima parola di Springer ha conquistato la ribalta anche su giornali che non ne avevano mai fatto una bandiera di guerra. È cominciato tutto con le vicende sessuali di Silvio Berlusconi. L’innesco è stato la sua presenza al compleanno di una diciottenne che l’aveva conosciuto e lo chiamava “Papi”. Presa dalla sua mission di distruggere il Cavaliere, Repubblica si è impossessata della storia e ne ha fatto l’arma numero uno contro il premier. In una guerra senza esclusione di colpi. Culminata nelle dieci domande a Berlusconi, che ogni giorno vengono ripresentate dal quotidiano di Ezio Mauro.
Nel conflitto si è poi infilato, quasi distrattamente, il Corriere della Sera. Soffiando a Repubblica l’intervista alla escort barese che aveva trascorso una notte nel letto di Silvio. Da quel momento, lo scandalo legato alle performance sessuali del premier è dilagato come un fiume in piena. Repubblica vi ha dedicato pagine su pagine. Anche nella speranza di fermare la perdita di copie che la testata pativa.
Ma poteva esserci un’azione senza reazione? Certo che no. Le rappresaglie sono arrivate. Messe in atto da Vitttorio Feltri, il nuovo direttore del Giornale. La testata appartiene alla famiglia Berlusconi. Tuttavia, per quel poco che lo conosco, non credo che Feltri sia un semplice esecutore di ordini. È sempre stato un giornalista di battaglia. Ha intravisto un terreno di scontro che poteva portargli dei lettori. E ci si è gettato a capofitto.
Feltri sapeva di avere il consenso del Cavaliere. E ha iniziato a bombardare il quartier generale di Repubblica. Cominciando dal suo editore, Carlo De Benedetti. L’Ingegnere è stato sbattuto in prima pagina, tutti i giorni. Con il racconto delle sue avventure e disavventure imprenditoriali, senza nessun riguardo.
Venerdì, il direttore del Giornale ha fatto di più. Ha preso di mira Dino Boffo, direttore di Avvenire, il quotidiano della Cei, ossia dei vescovi italiani. Boffo aveva censurato più volte i costumi sessuali del premier? Bene, Feltri lo ha descritto come un omosessuale notorio. Protagonista di una storiaccia finita davanti ai magistrati. Per non affrontare il processo, Boffo si era piegato a un patteggiamento, pagando un’ammenda. E dunque riconoscendo di essere colpevole. Diceva il titolone del Giornale: ecco la fine di un supermoralista condannato per molestie.
Un altro presunto moralista è finito nel mirino di Libero, oggi diretto da Maurizio Belpietro: il direttore di Repubblica Ezio Mauro. In questo caso colpito non per una questione di sesso, bensì di soldi: la seconda “s” della regola di Springer. Soldi in nero che Mauro avrebbe versato per pagare una parte dell’acquisto di un appartamento a Roma.
Mentre scrivo il Bestiario non conosco la reazione di Mauro. La risposta di Boffo c’è già stata. Lui ha negato tutto. Parlando di una vicenda «inverosimile, capziosa, assurda: siamo al killeraggio giornalistico allo stato puro, alla barbarie». E i vescovi gli hanno confermato piena fiducia come direttore di Avvenire, «giornale da lui guidato con indiscussa capacità professionale, equilibrio e prudenza».
Tutto finito? Per niente, né per Boffo né per altri. È la mia impressione e provo a spiegarla. La casta politica italiana affonda in una crisi drammatica. I due blocchi sono divisi al loro interno. Il centrosinistra ha le sue rogne. Ma il centrodestra non sta meglio. Lo dimostra la guerra senza quartiere che si è aperta fra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, un conflitto dall’esito imprevedibile.
In questo terremoto, qualche giornale si erge a giustiziere. Ha cominciato Repubblica e adesso scendono in campo il Giornale e Libero. Molti, e non soltanto i politici, se ne lamentano. Dicono che un certo tipo di giornalismo è indecente, vergognoso, da non praticare, da vietare.
Il Bestiario non la pensa così. Personalmente credo che dal male (presunto) possa venire un bene (quasi certo). Il bene è scoprire che nessun big possa sperare di farla franca se c’è qualcosa che non va nella sua vita privata. Chi diceva: il privato è politico? Adesso ci siamo. Piangerci sopra non serve a niente.
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