Un recente articolo del Wall Street Journal indirizza un’apparente contraddizione. Pur vivendo in un epoca in cui abbondano le innovazioni tecnologiche, che in passato sono state i motori dello sviluppo economico e sociale del mondo occidentale, oggi questa spinta sembra essere venuta meno. Negli USA aumentano i tecnici in tutte le discipline, sono in crescita le registrazioni di brevetti ma l’economia è stagnante (lì come in Europa).
La trasformazione delle innovazioni in prodotti commerciali avviene attraverso tentativi ed errori ma la società ha sviluppato un’avversione al rischio che sembra impedirli. Le regolamentazioni sono diventate più restrittive e gli sforzi di innovazione vanno verso “l’efficientamento” di ciò che già esiste. E’ questa la tesi dell’autore.
Personalmente ho un parere diverso.
Le innovazioni, o “Big Idea” come le chiama l’autore dell’articolo, sono tali in un preciso contesto, in una particolare “visione del mondo”, non in assoluto. Tale “vision” costituisce allora la piattaforma sulla quale l’innovazione si fonda e ne costituisce anche una traiettoria condivisa di sviluppo dell’economia.
Provo a fare un esempio per essere più chiaro.
Una delle maggiori innovazioni del mondo occidentale è stata l’invenzione dell’orologio meccanico per misurare il trascorrere del tempo. L’orologio meccanico ha certamente contribuito, da quando fu inventato, allo sviluppo economico e sociale di cui ha goduto il mondo occidentale. Forti di questa convinzione, gli esploratori del XVIII secolo che venivano in contatto con i nativi di zone inesplorate, portavano loro in dono oggetti che ritenevano di valore; tra questi certamente gli orologi meccanici. Ma nelle culture di quei popoli la misurazione del tempo non era una particolare esigenza e quell’oggetto dunque non aveva per loro lo stesso significato d”uso che aveva per noi occidentali. Essendo però un oggetto di un certo fascino, decisero di utilizzarlo come accessorio di abbigliamento indossandolo al collo.
Una straordinaria “Big Idea” per noi, che aveva senso in una specifica vision (la nostra), diventava un gadget di abbigliamento per chi ne aveva un’altra. Ma la necessità di vision, lasciatemi chiamare così la “visione del mondo”, è importante non solo per le tecnologie ma anche per gli assetti e le convenzioni prettamente sociali.
I nativi americani spesso non potevano comprendere il costrutto sociale di “vendita” della terra quando si trovavano di fronte ai coloni europei che volevano che loro facessero esattamente questo. Per loro non era concepibile “vendere” qualcosa che era nella disponibilità di tutti. Allo scopo di osservare la terra economicamente, nel senso di venderla o comprarla, ci deve essere un una vision dell’economia all’interno della quale la transazione di vendita della terra diventa significativa. Il significato economico di terra non è un effetto delle qualità materiali della terra, ma di come il suo valore è osservato e concepito all’interno di una vision sociale.
Tornando al tema iniziale, oggi qualsiasi documento programmatico aziendale, Business Plan, Piano Industriale, ecc., o di uno stato, legge di stabilità, decreti di sviluppo, ecc., non fa mai riferimento esplicito ad una “nuova” vision che si vuole realizzare grazie alla vendita del prodotto o servizio o l’azione di un governo. Si dà per scontato che quello che esiste è tutto quello che ci può essere e dunque lo si può solo migliorare.
Purtroppo le discrepanze evidenziate nell’articolo raccontano un’altra storia. La vision che ci ha permesso di costruire il mondo che abitiamo, ha terminato il suo ciclo di vita, si è esaurita. Continuare a produrre “Big Idea” in tale contesto non lo migliorerà, lo renderà solo più noioso e a basso prezzo.
Ciò di cui allora economia e imprenditoria in Italia hanno bisogno sono nuove modalità di sviluppare visioni condivise, non Big Idea nel senso indicato dall’articolo. Solo al loro interno le tecnologie potranno riprendere il loro ruolo positivo di promotrici di sviluppo.
In assenza dovremo rassegnarci al destino dell’umanità che, come ci ricorda un libro di prossima uscita del prof. Walter Scheidel, ha visto la violenza e la distruzione come unica modalità per lasciar spazio ai nuovi assetti sociali e, di conseguenza, a nuove modalità di sviluppo.